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tensione massima

Zelensky risponde alle illegalità di Putin bussando alla porta della Nato

Anna Zafesova

Il presidente russo celebra le “annessioni” convocando i suoi uomini a palazzo. Kyiv chiede l’adesione accelerata all’Alleanza e dice: negozio con Mosca solo se avrà un altro leader. Il Cremlino ricorrerà “a qualsiasi arma a disposizione”. La risposta atlantica

Volodymyr Zelensky rovina la festa a Vladimir Putin con una sola firma, apposta davanti alle telecamere pochi minuti dopo che il presidente russo si è messo a scandire “Russia, Russia”, stringendo le mani dei quattro “capi” collaborazionisti delle regioni ucraine che vuole annettere. In risposta alla “annessione” delle regioni di Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia proclamata da Mosca, Kyiv chiede la procedura accelerata per l’adesione alla Nato.  

   

La scenografia imperiale della finta annessione di quattro territori ucraini ancora tutti da conquistare, con le facce di pietra dei membri dell’establishment putiniano che vagano con lo sguardo sulle decorazioni dorate della sala San Giorgio del Cremlino, contrasta con lo stile marziale del leader ucraino che firma la lettera di ammissione all’Alleanza atlantica davanti alla sede della presidenza, su un tavolino piazzato in mezzo alla strada. Un gesto simbolico al quale il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg replica subito con la promessa di procedere, che però richiederà i suoi tempi, con tutti i 30 membri che devono dare il loro assenso. Intanto, la Nato “sosterrà l’Ucraina per tutto il tempo necessario”, anche se “non sarà formalmente parte del conflitto”, aggiunge Stoltenberg, probabilmente per non sconvolgere ulteriormente Mosca, dove il presidente del comitato Esteri della Duma Leonid Slutsky parla già di “coinvolgimento diretto” degli occidentali nella guerra.

 

L’impatto mediatico della cerimonia di “annessione” che doveva trasmettere il senso del trionfo del Cremlino viene così rovinato, e perfino i commentatori della propaganda russa parlano più dell’Ucraina nella Nato – esattamente la prospettiva che la guerra lanciata sette mesi fa doveva impedire, secondo i putiniani – che dell’allargamento dell’impero russo. Anche perché le nuove regioni russe sono tali soltanto sulla carta, e perfino sui volti cupi dei gerarchi del regime radunati ieri nella sala San Giorgio ad ascoltare il presidente si leggeva chiaramente una totale assenza di entusiasmo, e perfino un po’ di nervosismo, soprattutto quando Putin si è lanciato in una lunga e sconclusionata descrizione dei peccati dell’occidente. Nonostante la scenografia solenne, la sala a tratti ricordava una riunione sindacale in un ufficio sovietico, con i dipendenti costretti ad assistere alla conferenza di un propagandista sindacale pagato tre rubli all’ora per indottrinarli sulla situazione internazionale. Putin non si è negato nessuno dei cliché utilizzati dai suoi troll sui social: non sono mancati lo sterminio degli indiani d’America e la “riduzione alla tossicodipendenza di interi popoli”, le accuse di “colonialismo e apartheid” nei confronti della Russia, “depredata delle sue ricchezze nei terrificanti anni Novanta”. Nel tentativo di presentarsi come il leader di una rivolta anticolonialista, Putin ha usato un repertorio di invettive che andava dal classico del gender all’accusa agli Stati Uniti di tenere “sotto occupazione militare” Germania, Giappone e Corea, fino addirittura alla critica agli Alleati per aver bombardato Dresda nel 1945.

 

Unica novità, l’accusa a degli imprecisati “anglosassoni” di aver fatto esplodere i gasdotti Nord Stream. Ma nell’insieme le fantasie “geopolitiche” di un leader che ieri ha rinfacciato agli occidentali il “satanismo” (mentre il patriarca Kirill brillava per la propria assenza giustificata dal coronavirus) hanno reso poco convincente la cerimonia pensata come un bis dell’annessione della Crimea nel 2014. Non è stata pronunciata nemmeno una parola sulla mobilitazione, ma è apparso evidente che Putin vorrebbe chiudere la guerra con questo bottino: a Kyiv è stato proposto di riaprire un negoziato, dal quale però verrebbero esclusi i territori che da ieri Mosca considera “tornati alla casa storica, per sempre”. Una proposta surreale alla quale Zelensky ha reagito bussando alla porta della Nato, e avvertendo che d’ora in poi negozierà con la Russia soltanto “se avrà un altro presidente”. Un invito fin troppo esplicito ai presenti nella sala San Giorgio di provvedere alla propria salvezza prima che sia troppo tardi.

 

L’escalation militare e politica ha preso una accelerazione vertiginosa, anche se la procedura di adesione alla Nato si concluderà probabilmente “già a guerra finita”, commenta il consigliere di Zelensky Mikhaylo Podolyak, facendo capire che più che durare a lungo la ratifica durerà poco il conflitto. Il segnale però è stato mandato: Kyiv non può aver fatto il gesto di inviare richiesta formale a Bruxelles senza averlo preventivamente concordato con gli alleati occidentali, in primo luogo la Casa Bianca, che ieri ha garantito l’invio di nuove armi e aiuti all’Ucraina. Nel gioco a chi si arrende per primo che Putin ha lanciato con le sue minacce di “ricorrere a qualsiasi arma a nostra disposizione”, cioè alla bomba atomica, l’assunto – formulato esplicitamente qualche giorno fa dall’ex presidente Dmitri Medvedev – era che l’occidente non si sarebbe schierato accanto a una “Ucraina inutile”, e che avrebbe “mandato giù il ricorso a qualsiasi arma” da parte della Russia.

 

Una scommessa pericolosa, e Stoltenberg ieri ha confermato che Mosca è stata informata nel dettaglio sulle “serissime conseguenze dell’utilizzo degli armamenti nucleari” in Ucraina. I commentatori russi e ucraini parlavano di un attacco atomico di Mosca come quasi inesorabile, e il leader russo anche ieri ha menzionato Hiroshima e Nagasaki come “precedente creato dagli Stati Uniti”, ma in serata il segretario di stato americano Antony Blinken ha rassicurato che non si vedono segni di un imminente utilizzo delle armi non convenzionali da parte della Russia. Indiscrezioni moscovite dicevano il contrario, in un gioco di nervi che rendeva difficile distinguere le minacce reali dal bluff (del resto, Putin aveva avvertito che la sua minaccia atomica “non è un bluff”). Le attese più apocalittiche sono state comunque deluse: nessun ultimatum a Kyiv di ritirarsi, e da ieri sera l’esercito ucraino sta avanzando imperterrito su territori che Mosca ora considera di sua proprietà.

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