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l'intervista

Nella Svezia che vira a destra l'opposizione la fanno i liberali: “Saranno tempi duri"

Francesco Gottardi

“Rischiamo di diventare una scheggia impazzita”, dice Gustav Karreskog, membro dell'unica formazione moderata che ha scelto di non sostenere il prossimo governo del paese scandinavo. "A Bruxelles i liberali sono nel gruppo di Renew Europe: è come se Azione o Italia viva decidessero di sostenere Meloni"

Hanno ceduto tutti, popolari, democristiani, liberali: gli irremovibili del Centerpartiet no. Liberali anche loro, ma “per nulla al mondo disposti a considerare un accordo con l’estrema destra”. C’è da prendere appunti su quel che sta succedendo in Svezia dopo le elezioni e l’affermazione del partito di estrema destra Democratici svedesi, in particolare per le ripercussioni che la svolta politica di Stoccolma può avere nello scenario europeo.

“Rischiamo di diventare una scheggia impazzita”, spiega al Foglio Gustav Karreskog, membro di quell’unica formazione moderata che ha scelto di non sostenere il prossimo governo. “Il motivo è semplice: il liberalismo è l’opposto della xenofobia protezionista. E per noi è un valore non negoziabile”. La settimana scorsa, il capo del Partito moderato, Ulf Kristersson, ha ricevuto l’incarico per formare il nuovo esecutivo. “I negoziati non sono ancora chiusi”, continua Karreskog, “ma si stanno configurando degli equilibri: formalmente, governeranno tre formazioni di centrodestra”,  meno del 30 per cento delle preferenze totali. Mentre i due partiti più votati, i Socialdemocratici – 30,3 per cento – e i Democratici svedesi – 20,5 – resteranno fuori.

“Ma di fatto i parlamentari di Jimmie Akesson, leader dei Democratici svedesi, avranno un peso determinante: senza di loro crollerà la maggioranza. L’appoggio esterno è l’escamotage preteso dagli altri per salvare la faccia”. Ci si poteva aspettare il cedimento a destra di Kristersson e dei cristianodemocratici, ma a Bruxelles i Liberalerna, come il Centerpartiet, sono nel gruppo parlamentare di Renew Europe: è come se Azione o Italia viva decidessero di sostenere un governo Meloni.

“L’elettorato dei liberali è spaccato, metà verso i Democratici svedesi e metà verso il centrosinistra: alla fine, ha prevalso l’ala conservatrice. Il nostro invece è incline ai Socialdemocratici. E in termini di princìpi fondamentali, siamo molto più vicini alla premier uscente Andersson che ai sovranisti. Avremmo anche valutato un’alleanza di governo, ma non c’erano i numeri”. Contando i Verdi e il Partito della sinistra, 173 seggi: ne sarebbero serviti due in più. Mentre a destra le larghe intese arriveranno a 176. “Si procede comunque sul filo del rasoio.

Mi domando come: i conservatori, per esempio, vogliono diminuire i sussidi di disoccupazione, mentre i Ds spingono per alzarli. Akesson non ha esperienza amministrativa ma farà di tutto per farsi sentire”. Il suo partito è di matrice euroscettica e neonazista, ma da ultimo aveva abbassato i toni. “D’accordo sull’invio di armi all’Ucraina e per l’ingresso della Svezia nella Nato: questi temi godono di così tanto consenso che hanno avuto uno spazio sorprendentemente marginale in campagna elettorale. Il focus è stato sulle difficoltà economiche del paese e sul rincaro energetico”.

Altri riposizionamenti. Per le sue origini ruraliste, il Centerpartiet era sempre stato contrario al nucleare, che genera il 40 per cento dell’energia elettrica nazionale. “Ma i tempi sono cambiati anche per noi. Il sì ai reattori e l’apertura ai socialdemocratici forse non hanno pagato alle urne”, il 6,71 per cento dei consensi è quasi due punti inferiore al risultato del 2018, “generando per altro ostilità diffusa, fino alla tentata aggressione alla nostra leader, Annie Loof. Le scelte responsabili sono spesso impopolari”.

E viceversa. Karreskog è attivo nella Grande Stoccolma, “dove i Democratici svedesi sono molto deboli. Ma basta andare nelle campagne o nelle città più piccole e cambia tutto”. Profilo dell’elettore di Akesson? “Bianco, di mezza età, con una forte connotazione di genere: l’ha votato un uomo su quattro, contro il 16 per cento delle donne”. Chiavi del successo? “Il paternalismo economico e sociale”, dopo che le progressive privatizzazioni hanno eroso i benefici del welfare state. “Ma soprattutto il vantaggio del pioniere: i Ds sono stati i primi a opporsi all’immigrazione. Dal 2015 gli altri partiti li hanno seguiti”, e negli ultimi sei anni i flussi in entrata sono quasi dimezzati. “Ormai però la credibilità percepita è prerogativa di Akesson”. Che in Europa troverà solide sponde. “Tempi duri, per essere liberali”, ben oltre la Svezia.

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