Un combattente talebano nel Panjshir (foto LaPresse)

In Afghanistan la resistenza armata ai talebani è ancora viva

Luca Gambardella

Non c'è solo lo Stato islamico. Nel Panjshir e in altri distetti il regime comincia a essere preoccupato. E mostra alcune crepe

La resistenza al regime dei talebani non si dà ancora per vinta e in alcuni distretti dell’Afghanistan i combattimenti contro le forze del governo aumentano di intensità. E’ un cambio di passo rispetto alla tendenza alla rassegnazione che sembrava prevalere tra le file del Fronte della resistenza nazionale (Frn), la principale organizzazione armata opposta ai Talebani. A un anno esatto dalla ritirata oltre le montagne del Tajikistan del leader dell’opposizione Ahmad Massoud, gli uomini del Frn si erano ridotti ad azioni di guerriglia e a sporadiche offensive. Ad annichilire la guerra contro i talebani c’era – e prevale tuttora – una profonda stanchezza della popolazione, ormai prossima alla terza generazione passata in armi ininterrottamente dal 1979 a oggi. A questa si univa la difficoltà di compattare le tante tribù in un unico fronte opposto al regime.

 

  

Eppure dalla scorsa primavera la situazione sul terreno sta cominciando a mostrare segnali di cambiamento, soprattutto in alcuni distretti del nord e del centro del paese. Nelle aree del Panjshir, del Baghlan e del Takhar, le operazioni armate del Frn hanno ormai raggiunto livelli tali da mettere in dubbio il controllo sul territorio da parte dei talebani, già impegnati  nella guerra parallela contro i terroristi della provincia del Khorasan, il ramo afgano dello Stato islamico. Il regime ha sempre minimizzato le sacche di resistenza e ha tenuto nascosta la reale situazione sul terreno nelle zone contese impedendo l’accesso ai giornalisti.

  

 

Alcuni segnali tradiscono però un certo nervosismo della leadership talebana. Dalla fine di agosto, il comando delle forze armate  in Panjshir e Baghlan è stato assegnato al mullah Abdul Qayyum Zakir, un leader di alto rango. E’ un ex detenuto di Guantanamo, tornato in Afghanistan nel 2007 e con una grande esperienza militare anche al fianco dei combattenti di al Qaida. La decisione del regime di inviare un comandante autorevole come Zakir, che è anche viceministro della Difesa, è la prova che i talebani cominciano a temere di perdere il controllo di una regione chiave. L’altra nomina di rilievo per sopire la controffensiva del Fronte di resistenza riguarda Mohammad Tayab Haqqani, messo al comando della polizia del Panjshir. Haqqani fa parte dell’omonimo clan, colonna portante del regime, e il suo invio in questo distretto rientra in una faida interna al regime. Da quando ha preso il potere a Kabul, fra i talebani si è aperta una frattura interna che vede su due fronti opposti il ministro della Difesa Mohammad Yaqoub, legittimato dalle tribù di Kandahar, e Sirajuddin Haqqani, lo stesso che ha ospitato e nascosto nella sua abitazione il numero uno di al Qaida, Ayman al Zawahiri, ucciso da un drone americano lo scorso luglio. I due si contendono una fetta importante di potere nel governo e l’invio di un Haqqani nei distretti contesi implica un duro colpo per Yaqoub e il suo entourage. 

 

  

Le difficoltà incontrate dai talebani negli ultimi mesi risiedono anche nelle fratture intra etniche. Da alcuni mesi si registrano defezioni di comandanti di etnia tajika, alcuni dei quali si sarebbero uniti al Fronte della resistenza nazionale. I tajiki sono il popolo di maggioranza delle valli del Panjshir e sono sempre più restii a combattere contro gli oppositori e i residenti. La mancanza di fiducia nei loro confronti induce ora il regime a inviare nella regione soprattutto comandanti di etnia pashtun, che però hanno scarsa conoscenza di quei territori. Ma sebbene le divisioni interne al regime siano un vantaggio notevole, la resistenza continua a essere indebolita dalla mancanza di equipaggiamenti adeguati e da una leadership costretta all’esilio oltre il confine del Tajikistan. Sono due limiti che rendono molto lenta la guerra contro i talebani.  

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.