Vittimismo di potere

Per il trumpismo la perquisizione dell'Fbi è il nuovo 6 gennaio: ci vogliono eliminare

Paola Peduzzi

Il dossier di Donald Trump su Emmanuel Macron e i tre modi per trasformare un sequestro di documenti in una forza

Milano. Quando Donald Jr ha pubblicato una foto di suo padre, l’ex presidente americano Donald Trump, con una pecetta verticale  sotto la cintura  e la didascalia: “Redact this!!!”, è stato chiaro che il sequestro dei documenti top secret dell’Fbi negli scatoloni ritrovati a Mar-a-Lago stava diventando per i trumpiani un nuovo 6 gennaio. Cioè una fissazione dei nemici politici, un accanimento contro Trump, vittima del rifiuto dell’establishment, che tenta di eliminarlo in ogni modo, senza riuscirci. Provate a editare questo, dice  il figlio devoto indicando il pisello di suo padre e alludendo ai documenti pubblicati con le necessarie censure, e il mondo trumpiano si rimette in piedi  di nuovo. 

 

I sondaggi mostrano che dopo la perquisizione dell’Fbi nella tenuta in Florida, la popolarità di Trump è cresciuta. In realtà non è che sia mai collassata, ma esattamente come l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio del 2021 pareva il colpo fatale al trumpismo e invece è diventato il mito fondativo del post trumpismo, così i documenti classificati che l’ex presidente si portava dietro mischiati a cianfrusaglie (e al dossier sul presidente francese Emmanuel Macron e la sua vita sessuale “fucking wired”, come rivelato da Rolling Stone) sono ora un altro potente strumento di legittimazione di Trump. Non soltanto per gli irriducibili del movimento Maga (Make America Great Again), che non hanno bisogno di prove ulteriori sulla forza del loro leader, ma anche per molti esponenti repubblicani, che anche solo per tornaconto personale cercano ogni minuto di capire se è il momento di mollare Trump oppure no. La soglia si sposta sempre più in là e poi il tempo finisce, perché le selezioni per le elezioni di metà mandato si stanno concludendo e il trumpismo non è uscito così ammaccato come qualcuno pensava o si augurava: non si conosce l’esito del voto né si sa quanto la ripresa dei democratici (e in particolare la mobilitazione del loro elettorato) si consoliderà, ma per ogni repubblicano che sarà eletto al Congresso c’è una buona possibilità che questo sia un trumpiano. O un post trumpiano, che pareva un prototipo un poco diverso rispetto all’originale e che invece ora gli assomiglia sempre più. Se a questo si aggiunge il fatto che già ora i parlamenti locali e talvolta i governatori repubblicani sono più estremisti dei loro elettori – a tal proposito c’è un reportage definitivo sul New Yorker che riguarda l’Ohio – si capisce che la classe politica conservatrice che si imporrà in questo 2022 elettorale avrà un marchio trumpiano indelebile. Questo significa che il funzionamento delle istituzioni americane dopo questo voto si incepperà ulteriormente: è difficile stabilire regole di convivenza e di dialogo con chi pensa, tanto per dirne una, che l’attuale presidente Joe Biden sia un impostore. 

 

La vicenda dei documenti di Mar-a-Lago è diventata ancora più legittimante rispetto all’assalto del 6 gennaio per altre due ragioni. La prima riguarda un grande classico del trumpismo: l’Fbi e i server di Hillary Clinton. Il Wall Street Journal – quotidiano di proprietà di Rupert Murdoch che, si dice, sta prendendo le distanze da Trump per avvicinarsi a sue emanazioni meno compromesse, come il governatore della Florida, Ron DeSantis – ha pubblicato un editoriale in cui detta la linea: nel 2016 l’Fbi, dopo aver scoperto e denunciato le violazioni dell’allora candidata alle presidenziali Clinton che aveva tenuto l’accesso ai server di posta governativi pur non facendo più parte dell’Amministrazione, aveva deciso di non proseguire l’indagine contro di lei. “Sebbene ci siano prove di potenziali violazioni degli statuti relativi alla gestione delle informazioni classificate, il nostro giudizio è che nessun procuratore ragionevole intenterebbe un caso del genere”, aveva detto l’allora direttore dell’Fbi Jim Comey. Il giornale murdochiano scrisse che Comey si era limitato a una ramanzina e che aveva violato il suo mandato perché avrebbe dovuto consegnare i documenti al dipartimento di Giustizia che aveva il compito di portare avanti l’indagine. Oggi il Wall Street Journal scrive:  “Se la Clinton non è stata perseguita, si applica uno standard diverso a Trump?”. Fu un’Amministrazione democratica a stabilire  il Clinton Standard, ora non vale più? Il quotidiano introduce qualche riserva, dice che ancora non si conosce l’entità della violazione di Trump né quel che ha detto all’Fbi né quel che c’è nelle parti censurate dell’affidavit che spiega l’operazione dell’Fbi, ma stabilisce un principio: l’attuale Guardasigilli  Merrick Garland deve dimostrare che il caso Trump è ben più grande di quello Clinton, altrimenti si configura l’applicazione di un doppio standard. 

 

Questo porta alla seconda ragione che rende l’affaire dei documenti una legittimazione ulteriore del trumpismo: ce l’hanno con noi, farebbero di tutto per distruggerci, anche violare le regole che si erano fatti quando a essere colpiti erano loro. Il vittimismo è un carburante potente del trumpismo (e non soltanto), il modo per non badare a quel che si fa ma a quel che dicono di noi, e rimettersi dritti in piedi.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi