Abdel Fattah Al-Sisi (Lapresse) 

A novembre

Così l'Egitto di Sisi salta sul carro ambientalista della Cop27. Proteste non ammesse

Rolla Scolari

Ai governatori delle province è stato chiesto di piantare cento milioni di alberi mentre il ministero dell’Ambiente ha promosso una svolta green. Il timore è che la conferenza possa essere usata più opportunità diplomatica che come reale forum di discussione ambientale

L’Egitto ha annunciato in questi mesi iniziative green per far fronte al cambiamento climatico e in preparazione della conferenza della Cop27 che ospiterà a novembre a Sharm el Sheikh. Ai governatori delle province è stato chiesto di piantare cento milioni di alberi, di fare spazio, nel cuore delle città, a parchi capaci di migliorare la qualità dell’aria. Il ministero dell’Ambiente ha promosso inoltre la pulizia di spiagge, il potenziamento delle rinnovabili, il tentativo d’eliminare l’uso sfrenato di sacchetti di plastica. 

In un paese in cui la mancanza di spazi verdi di socialità è drammatica e che soffre più di altri per gli effetti dell’aumento delle temperature, più verde aiuterebbe ad assorbire un inquinamento che nell’ultimo anno è aumentato. La spinta green è anche questione di spese: secondo la Banca mondiale, la pessima qualità dell’aria costa all’Egitto il 5 per cento del pil: 2,4 miliardi di dollari. E il traffico del Cairo, con migliaia di veicoli vetusti in circolazione, è l’immagine più rappresentativa del fenomeno, oltre all’inquinamento industriale che pesa significativamente sui dati negativi. 

La svolta green è sostenuta da campagne governative per rafforzare la consapevolezza della popolazione nei confronti del cambiamento climatico e da aiuti internazionali, come un pacchetto da 4 milioni di euro per la tutela dell’ambiente fornito dall’Ue. 

Ha senso che sia un paese dell’Africa a ospitare una conferenza come la Cop27: è tra i continenti più colpiti dal riscaldamento globale. Eppure in molte nazioni della regione c’è poca consapevolezza della situazione, mancano un’educazione alla tutela dell’ambientale e, è il caso dell’Egitto nonostante le tardive iniziative green, un reale coinvolgimento dei governi verso nuove politiche.

 

A preoccupare gli osservatori ma anche gli stessi attivisti ambientali internazionali, che hanno già inscenato proteste contro il Cairo, è che la conferenza di novembre possa essere usata dal governo più come un palcoscenico o un’opportunità diplomatica che come reale forum di discussione ambientale. Contestano, per esempio, la scelta del presidente della Cop27: non la ministra Yasmine Fouad, scienziata e climatologa, bensì il responsabile degli Esteri, Sameh Shoukry, politico saldamente integrato nel regime di Abdel Fattah al Sisi e diplomatico di lungo corso.  Una procedura d’iscrizione segreta ha anche impedito ad alcune ong critiche nei confronti del governo di partecipare al vertice.  

 

I dubbi hanno anche altre origini, legate alla natura repressiva del sistema egiziano da una parte, in opposizione alla formula aperta e partecipativa della conferenza sull’ambiente. La Cop, come spiega lo stesso sito creato dall’ospite egiziano, è un luogo dove “governi, settori privati e società civile lavorano assieme per trasformare il modo con cui interagiamo con il nostro pianeta”. Dal 2013, da quando Sisi ha preso il potere, il presidente ha ristretto gli spazi di libertà, la società civile egiziana è stata fortemente colpita e il lavoro delle organizzazioni non governative, altrove terreno fertile per eccellenza dell’attivismo ambientale, sono costante obiettivo della repressione degli apparati di sicurezza. “E’ chiaro da lungo tempo come ai governi occorrano le pressioni della società civile per far fronte al cambiamento climatico in maniera significativa”, ha detto in proposito Kenneth Roth, storico direttore esecutivo di Human Rights Watch. “Il presidente Sisi, però, ha dedicato il suo mandato a sopprimere la società civile e qualsiasi voce indipendente che critica il suo regno repressivo. Questo è il contrario di quanto è necessario per una Cop di successo”.

 

Nel novembre 2021, mentre oltre cento leader mondiali discutevano al tavolo della Cop26 di Glasgow, per le strade della città migliaia di persone, guidate dalla giovane attivista svedese Greta Thunberg, si sono riunite per protestare, accusando capi di stato e governo di inattività sulla protezione del pianeta. Le conferenze sul clima sono il luogo del confronto, e ci si chiede quale spazio avrà il dissenso a Sharm el Sheikh, resort tra mare e deserto, isolato dall’attivismo represso del Cairo, in un paese in cui le manifestazioni devono essere autorizzate dal governo, e dove gli organizzatori preparano un’apposita “struttura” nella quale confinare la protesta. 

“Di tutti i paesi che avrebbero potuto ospitare (la conferenza), hanno scelto quello dove protestare è vietato e mandano tutti in prigione. Questo mi dice come il mondo gestisca la questione. Non sono interessati a trovare una soluzione comune per il clima”, ha scritto a giugno, in un messaggio consegnato alla sorella, Alaa Abdel Fattah, attivista principe della rivoluzione egiziana del 2011, che ha passato in carcere la maggior parte degli ultimi dieci anni proprio per aver sfidato la legge che vieta le proteste. Alaa AbdelFattah è in sciopero della fame nella sua cella da 146 giorni.
 

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