Alcuni attivisti camminano nei pressi della centrale nucleare di Neckarwestheim, in Germania (Getty Images) 

Germania nucleare

L'uscita dal nucleare è un obiettivo rimandabile per i verdi tedeschi

Daniel Mosseri

Crisi energetica e valori occidentali rendono rinviabile la chiusura delle centrali, ci dice l'eurodeputato Sergey Lagodinsky. Anche il governo di Scholz sarebbe favorevole a posticiparne la fine, dice il Wall Street Journal

Berlino. Smentire, confermando. E’ quello che ha fatto una portavoce del ministero federale dell’Economia reagendo alla “soffiata” del Wall Street Journal secondo cui il governo di Olaf Scholz si accingerebbe a prolungare la vita delle tre centrali atomiche tedesche ancora in funzione. “Questa notizia non è accurata e manca di qualsiasi base fattuale. Posso poi sottolineare che lo stress test per verificare la stabilità della rete elettrica è ancora in corso”. Insomma, il ministero dell’Economia “e della protezione del Clima” guidato dal verde Robert Habeck non ha alcuna fretta di confermare che nel futuro prossimo della Germania c’è ancora il nucleare.

 

I figli del sole che ride – quello rosso su sfondo giallo diventato famoso negli anni ‘80 con la scritta “Atomkraft? Nein Danke” (Nucleare? No grazie) – preferirebbero evitare l’accanimento terapeutico sui tre impianti di Emsland (in Bassa Sassonia), Neckarwestheim 2 (in Baden-Württemberg) e Isar 2 (in Baviera). Gli operatori dei tre impianti vivono settimane di sospensione: ci si prepara a chiudere come previsto entro la fine dell’anno secondo la legge post Fukushima approvata da quasi tutto il Bundestag nel 2011 ma si lavora informalmente anche all’approvvigionamento del carburante se gli stress test diranno che anche nel 2023 servirà energia elettrica prodotta dall’atomo. Un primo stress test è stato condotto fra marzo e maggio: allora gli analisti si erano concentrati sulla possibile carenza di gas russo concludendo che, anche a centrali chiuse, il fabbisogno energetico tedesco sarebbe stato assicurato per i prossimi due inverni.

 

Sul medio periodo al gas russo dovrebbe subentrare quello liquido opportunamente rigassificato nei terminal in costruzione sul mare del Nord. Ora che il prezzo del gas è ulteriormente salito, gli stress test si fanno più severi: negli scenari si immagina il gas ancora più scarso e ancora più caro; una serie di guasti importanti alle centrali nucleari francesi, e l’eventualità che tante abitazioni tedesche rimaste prive di metano si mettano a scaldare salotto e camera da letto con i radiatori elettrici.

 

Attenzione speciale, poi, alla situazione in Baviera. Nel 2020, il Land meridionale ha generato il 27,5 per cento dell’elettricità dall’energia nucleare e il 15,9 dal gas naturale. Se i reattori nucleari saranno spenti e il gas continuerà a scarseggiare, c’è il rischio che Monaco resti al buio. E’ vero che la Csu del governatore Markus Söder ha molto investito nel fotovoltaico, ma è altrettanto vero che con il suo pil da 610 miliardi di euro (dato del 2020), l’economia bavarese non può fare affidamento solo sul bel tempo. 

 

Oggi che la via per un mantenimento in vita del nucleare appare spianata, abbiamo chiesto all’eurodeputato tedesco dei Verdi Sergey Lagodinsky se nel partito c’è il timore che dal mantenimento si passi al ritorno all’atomo. “Non sono un profeta e, certo, il timore esiste. Ecco perché in molti sarebbero pronti ad accettare lo Streckung (allungamento, ndr) delle centrali”. Lagodinsky fa riferimento a un’operazione per cui anziché ordinare nuove barre nucleari si continuano a utilizzare quelle in scadenza a una potenza diminuita. Così la Germania potrebbe contare ancora sull’elettricità dall’atomo, ma meno del 6 per cento, e solo per alcune settimane.

 

Comunque vada i Grünen sono pronti. Anche i sondaggi hanno rivelato che il 62 per cento dei simpatizzanti del partito ecologista non si opporrebbero a prolungare la vita delle centrali (o del loro carburante). Con un limite: “Questa operazione – scandisce Lagondinsky – deve essere limitata al superamento della crisi energetica: non credo che né la base né la leadership del partito siano pronte ad accettare altro”. Queste considerazioni sono legate al periodo storico, i Verdi stanno mettendo sul piatto della bilancia cosa conta di più tra i valori occidentali e la guerra in Ucraina ha rimesso in ordine le priorità: davanti ai diritti umani, l’uscita dal nucleare resta ma non è più un obiettivo né unico né sufficiente.

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