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l'annuncio a glasgow

Stop al carbone. L'accordo (monco) della Cop26

Redazione

Alcuni paesi si impegnano ad eliminare il combustibile fossile, altri a non finanziare più i progetti che ne prevedono l'uso. Resta una flessibilità sulla data d'uscita, ma sull'addio si sfilano Cina, Giappone e Stati Uniti 

È il G20 della transizione energetica. Dopo i negoziati della Cop26 di Glasgow, oggi è stato annunciato l'accordo per mettere fine ai finanziamenti pubblici per progetti internazionali sui combustibili fossili: 23 paesi hanno assunto nuovi impegni per eliminare gradualmente l'uso del carbone, 25 paesi e istituzioni di finanza pubblica si impegnano a porre fine al sostegno pubblico alle fonti fossili entro la fine del 2022 ed entro la fine di quest'anno anche le principali banche internazionali bloccheranno i finanziamenti al carbone. 

Secondo il Washington post si tratta di una mossa in grado di deviare un giro d'affari da 8 miliardi di dollari dal monopolio del carbone, sempre più obsoleto, verso l'energia pulita. Hanno detto stop ai combustibili fossili anche 18 nuovi stati, che finora non si erano pronunciati in proposito: tra questi Vietnam, Cile e Polonia, tutti forti consumatori di carbone. L'obiettivo è che tutti i paesi più industrializzati seguano l'esempio entro il 2030 e quelli in via di sviluppo entro il 2040.

 

La decisione avrà ripercussioni anche sui sussidi relativi a trivellazioni, centrali elettriche e tutti gli altri progetti sostenuti da banche di investimento internazionali o altre istituzioni a finanziamento pubblico. I leader di istituzioni multilaterali, fondazioni e gruppi di sostegno hanno sottolineato l'urgenza di uscire rapidamente da operazioni legate a carbone, petrolio e gas: se l'azione sarà concertata, i consumatori di tutto il mondo saranno più vicini alla transizione verso un futuro decarbonizzato.

 

Anche se non sarà tutto così perentorio. Tagliare i sussidi ai progetti internazionali a combustibile fossile non limiterà la sovranità nazionale sul tema. Che comunque deve fare i conti con alcune assenze eccellenti: Cina e Giappone non hanno firmato l'impegno a fare a meno del carbone. E anche per i firmatari c'è qualche scappatoia per aggirarlo. Ma i sostenitori dell'iniziativa confidano nell'effetto domino: "Speriamo di vedere ciò che è successo nel campo della finanza", ha detto Laurie van der Burg, manager dell'associazione no profit Oil change international. Secondo gli attivisti, interrompere il flusso monetario verso nuovi progetti a combustibili fossili è fondamentale per raggiungere gli obiettivi globali sul clima. A maggio l'Agenzia internazionale dell'energia ha pubblicato una mappa per azzerare le emissioni di Co2 entro il 2050: il piano prevede che non ci siano più sviluppi di nuove riserve di combustibile fossile dopo quell'anno.

L'esempio virtuoso era arrivato nel 2013, quando la World bank annunciò lo stop ai finanziamenti. Da allora un numero sempre maggiore di paesi e istituzioni finanziarie ha garantito questo tipo di impegni. E oggi le prime venti economie mondiali lo hanno messo nero su bianco. Limitare i sussidi per i combustibili fossili potrebbe anche disincentivare gli investitori privati, perché senza supporti governativi si tratta di progetti sempre più rischiosi. Anche se alcuni escamotage come il finanziamento indiretto "ridurrebbero la portata dell'iniziativa", continua van der Burg. Le fa eco Kwasi Karteng, rappresentante del Regno unito alla Cop 26: "Il carbone non ha più alcun ruolo da giocare nelle nostre future generazioni energetiche. La fine del carbone è in vista. Il mondo si sta muovendo nella giusta direzione".

Ma per riuscirci davvero, i ricchi del mondo sono chiamati a colmare le enormi disuguaglianze nel settore: gli Stati uniti e l'Oec consumano rispettivamente 12 e 8 volte tanto l'energia a disposizione di 3,6 miliardi di persone nei paesi in via di sviluppo.