Lo Stretto di Kerch

Russi in fuga dalla Crimea e da loro stessi

Micol Flammini

L’esplosione alla base aerea militare di Saki ha causato file chilometriche per scappare verso Mosca. I turisti o chi viveva nella penisola dal 2014 non hanno creduto alla versione di Putin e ora che hanno visto la guerra, la temono 

Una donna seduta sul sedile posteriore della sua auto piange e protesta perché non vuole lasciare la Crimea. E’ russa e dice: “Non voglio andarmene, si sta così bene. Ci siamo abituati e abbiamo vissuto qui come se fosse casa nostra”. L’auto si mette in partenza e come molte altre percorre il ponte fatto costruire da Vladimir Putin nel 2018 per collegare la Russia alla penisola ucraina annessa illegalmente nel 2014. Ieri, lungo il ponte che passa sopra allo Stretto di Kerch, c’era  una lunghissima fila di auto e i viaggiatori lamentavano code di cento chilometri. Erano russi in vacanza in Crimea o russi che erano andati a vivere nella penisola ora in fuga: indipendentemente dal motivo per cui ci si trovassero, si sono  spaventati dopo le esplosioni alla base aerea di Saki. Le autorità di Mosca hanno detto che si è trattato di un incidente, le autorità ucraine non hanno rivendicato e hanno lasciato intendere che si sia trattato di sabotatori o di mala gestione dell’aeroporto da parte dei soldati russi. Altre fonti hanno riferito che l’operazione è stata invece studiata dagli ucraini per diverso tempo.

 

Sono state molte le ipotesi  sul metodo e sulle armi usate per colpire la base, ma che si sia trattato di razzi americani Atacms, più potenti degli Himars, o dei Neptune, poco importa. Il dato rilevante è che gli ucraini possono colpire anche da una distanza di duecento chilometri. L’altro dato rilevante è che i russi non hanno creduto alla versione russa, che non pensano sia stato un incidente e si sono messi in viaggio per fuggire dalla Crimea, dove non si sentono più al sicuro, e raggiungere la Russia. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky nel suo messaggio notturno di martedì ha detto che la “guerra è iniziata con la Crimea e deve finire con la liberazione della Crimea” e  la fuga dei russi dalla penisola ha un significato molto forte per gli ucraini. Dall’annessione, Mosca ha trasferito circa un milione di cittadini per incrementare la componente russa della Crimea, seguendo un copione che ha messo in pratica sia nel passato nella stessa penisola – nel 1944 il Cremlino vi deportò i tatari e invitò i russi a stabilirvisi – sia durante questa guerra: i russi sono chiamati a trasferirsi   nei territori occupati. Alcuni residenti dell’oblast di Kherson, che si trova sotto il controllo russo e dove gli ucraini hanno iniziato una controffensiva efficace, hanno raccontato che anche da lì i russi, incluse le famiglie degli ufficiali, vanno via per paura degli attacchi ucraini. 

 

Come ha detto Zelensky, questa guerra è iniziata con la decisione di Putin di andare in Crimea, è stato il primo passo, al quale successivamente si è aggiunta la guerra nel Donbas e infine l’invasione del 24 febbraio. La promessa che il presidente russo ha fatto ai suoi cittadini è quella della sicurezza: l’operazione speciale non li avrebbe riguardati, loro sarebbero stati sempre lontani dalle bombe. 
I russi non gli credono più dopo aver visto la base aerea che esplode vicino alle spiagge, sono fuggiti e forse hanno iniziato anche a capire che l’operazione speciale altro non è che una guerra. Il giornale russo Kommersant ha riportato che la Russia sta creando nuove unità di volontari, nella sola San Pietroburgo ne sono nate tre: Konstadt, Neva e Pavlovsk. La notizia non è un segreto  e i russi sanno anche  che i militari  andranno in Ucraina,  con l’esplosione in Crimea però  hanno anche visto per la prima volta questa guerra  da vicino. 

 

Washington aveva intimato  agli ucraini di non utilizzare le armi americane contro il  territorio russo e finora Kyiv è stata precisa e non ha   sconfinato. La Crimea però non è riconosciuta come territorio russo, ma ucraino,  e gli americani lo ritengono un obiettivo che si può colpire. Anche il ponte sullo Stretto di Kerch, quello che ieri era pieno di auto russe in fuga, è reputato un obiettivo che si può colpire. Togliere ai russi quell’arteria vorrebbe dire rompere una catena di rifornimento molto importante per Mosca. 

 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.