Viktor Orban e Ursula von der Leyen (Ansa)

Occhio per occhio

Orbán ha bisogno dei soldi del Recovery e punta tutto su un uomo per far cedere l'Ue

Luciana Grosso

Bruxelles ha congelato 4,6 miliardi di euro previsti dal Next Generation Eu, in quanto il paese non rispetta gli standard minimi europei. Adesso però le difficoltà economiche per l'Ungheria sono aumentate e senza quei fondi potrebbe rivolgersi a Cina e Russia: un bivio per l'Europa

Le trattative tra l’Unione europea e l’Ungheria girano attorno a un numero: 4,6 miliardi, la cifra prevista per l’Ungheria dal Next Generation Eu, il Recovery fund pensato per ripartire dalla pandemia. Questi soldi però l’Ungheria non li ha ancora visti, perché non ha fatto le riforme necessarie richieste dall’Ue.  

Lo scorso aprile, pochi giorni dopo le elezioni in Ungheria che hanno sancito il quarto mandato consecutivo del premier Viktor Orbán, la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, fece sapere che il parere della Commissione europea era che l’Ungheria non rispettava gli standard minimi previsti dalla rule of law europea né in termini di democrazia né in termini di corruzione e che, pertanto, i fondi sarebbero stati congelati. Il governo di Orbán commentò la decisione in un modo che suonava allo stesso tempo sprezzante e sminuente, dicendo che “l’Ue stava applicando l’agenda della sinistra ungherese”, cioè la stessa che era appena stata sconfitta alle urne, e che comunque la faccenda si sarebbe risolta presto anche perché, in ogni caso, l’Ungheria non aveva bisogno dei soldi europei per riprendersi dalla crisi sanitaria. 

Le cose non sono andate così: la faccenda non si è per nulla risolta, l’Ue non sembra aver cambiato idea e l’Ungheria non sembra aver fatto passi significativi nella direzione di quanto preteso dall’Ue per sbloccare i fondi. Questi ultimi, però, nel frattempo, complici l’inflazione e la crisi delle materie prime, si sono resi sempre più necessari, ove non addirittura urgenti.   I funzionari ungheresi hanno allora preso a fare avanti e indietro tra Budapest e Bruxelles e a guardare con una certa apprensione al calendario, perché il 22 agosto scadono i termini entro i quali l’Ungheria ha tempo per rispondere alla Commissione e alle sue perplessità sull’Ungheria. Da un lato l’Ungheria ha bisogno dei fondi europei, dall’altro il governo di Orbán ha spazi di manovra limitati, perché ormai da anni ha trasformato il sistema ungherese, rendendolo sempre meno conforme alle norme dell’Unione europea. Dal canto suo l’Ue si trova a prendere una decisione difficilissima, incerta tra credere alle  promesse di Orbán, perdendo ogni autorevolezza, oppure vedere il suo bluff condannando l’economia di un paese membro che cercherebbe aiuto dai russi e dai cinesi.  

Il punto di caduta potrebbe trovarsi nelle mani dell’emissario ungherese Tibor Navracsics, ex commissario europeo all’Istruzione della Commissione Juncker e, oggi, ministro ungherese per lo Sviluppo regionale. Tocca a lui il compito di convincere l’Ue che l’Ungheria sia un membro affidabile, specchiato, rispettoso e, all’occorrenza, ben intenzionato a correggere i suoi errori, e allo stesso tempo convincere l’apparato di governo ungherese che niente cambierà e che l’Europa è stata solo messa nel sacco un’altra volta.

 

Nella lista delle promesse e dei buoni propositi ungheresi comparirebbero: la riduzione al di sotto del 15 per cento  del totale dei cosiddetti contratti a singolo offerente, ossia quelli ai quali partecipa un solo offerente (oggi questa quota arriva al 35 per cento); l’aumento del tempo per le consultazioni pubbliche prima di introdurre nuove norme; una limitazione delle procedure accelerate per introdurre nuove leggi, e la promessa di allentare la presa governativa sulla magistratura. L’Unione europea difficilmente crederà a queste promesse, ma potrebbe chiudere un occhio, scegliendo il male minore. Il rischio però è la perdita di credibilità e di trovarsi sempre alla stessa scelta: credere a se stessa o a Viktor Orbán? 
 

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