editoriali
Il mercato manda in crisi Orbán
Budapest alza di nuovo i tassi, il premier inizia a fare concessioni all’Ue
Con l’Ungheria, quel che non è riuscita a fare la Commissione, lo sta facendo il mercato, anche se con la complicità involontaria dell’Ue: mandare in crisi il regime sovranista che ha permesso a Viktor Orbán di restare al potere dal 2010. La Banca centrale ungherese ieri è stata costretta ad alzare nuovamente i tassi di interesse, portandoli al 9,75 per cento, il livello più alto dal 2008. La stretta monetaria è indispensabile per cercare di contenere l’inflazione record (oltre il 10 per cento) frenare la caduta del fiorino (precipitato al livello più basso di sempre sull’euro). I precedenti rialzi dei tassi – l’ultimo di 1,85 punti un mese fa – non hanno stabilizzato la moneta. La fiducia degli investitori sta svanendo. L’incertezza sui 7,2 miliardi che l’Ungheria dovrebbe ricevere dal Recovery fund, secondo gli analisti, ha un peso preponderante: i fondi sono bloccati per il conflitto con la Commissione sullo stato di diritto. Ma è tutto il sistema Orbán a traballare.
Le misure populiste adottate prima delle elezioni di aprile – aumenti di sussidi e pensioni – hanno ampliato il deficit. Le tasse sulle multinazionali annunciate dopo la guerra della Russia contro l’Ucraina spaventano gli investitori esteri. Ieri Orbán si è trovato di fronte anche alla prima protesta popolare dalla sua rielezione: mille persone hanno bloccato un ponte a Budapest mentre il Parlamento si prepara a votare una riforma che porterebbe a un aumento delle tasse sulle piccole e medie imprese. In pubblico Orbán dà la colpa dei suoi problemi all’Ue e alle sanzioni contro la Russia. Ma, dietro le quinte, ha iniziato a fare concessioni alla Commissione su riforma della giustizia, appalti pubblici e lotta alla corruzione per cercare di sbloccare i 7,2 miliardi. L’Ue deve essere pronta ad aiutare gli ungheresi. Ma a condizione che Orbán torni a rispettare i princìpi fondamentali su democrazia, stato di diritto ed economia di mercato.
la sconfitta del dittatore