(Foto di Ansa) 

Bojo's out

I piani dei Tory per il dopo Boris Johnson

Gregorio Sorgi

I riflessivi, gli ideologizzati, gli educati e i “self made men” come Nadhim Zahawi: nel partito conservatore si pensa alla successione 

Londra. Alcuni studiosi del Partito conservatore sostengono che ci sia una regola infallibile per capire l’esito delle primarie: il vincitore è caratterialmente l’opposto del leader uscente. Theresa May era agli antipodi di David Cameron, così come Boris Johnson era l’esatto contrario del suo predecessore. Dunque non sorprende che tra i probabili candidati alla successione del premier ci siano tre ex militari: Ben Wallace, Penny Mordaunt e Tom Tugendhat. Dopo tre anni di caos, feste illegali e anarchia a Downing Street, molti membri conservatori sentono che sia è arrivata l’ora di riportare un po’ d’ordine. Questo è uno dei motivi per cui il ministro della Difesa Ben Wallace – che ha acquisito un profilo nazionale durante la guerra in Ucraina – è il personaggio più popolare tra i militanti conservatori che hanno l’ultima parola sulla scelta del leader. I parlamentari votano a oltranza finché non rimangono solamente due candidati, che vengono sottoposti agli iscritti di partito. Pur non essendo un trascinatore, Wallace viene visto come un leader adatto alle circostanze: un personaggio serio e unificante per ricostruire l’immagine dei Tory.

 

Al secondo posto nell’indice di gradimento stilato dal sito ConservativeHome c’è Penny Mordaunt, un’ex sottotenente della marina che deve il suo nome alla nave da guerra Hms Penelope. Mordaunt è una presenza telegenica e dalle opinioni forti, che però è sconosciuta al di fuori del milieu conservatore; è quasi impossibile che arrivi all’ultimo turno. Il terzo veterano di guerra è Tom Tugendhat, il presidente della commissione Esteri dei Comuni e di gran lunga il candidato più critico contro Boris Johnson. Tugendhat è un personaggio colto e affascinante con un pedigree tipicamente upper class: un poliglotta di origini austriache e sposato con una giudice francese; ha combattuto in Iraq e Afghanistan, dove ha governato la provincia dell’Helmand. E’ un esperto di politica estera, e un falco anti russo e cinese. E’ molto improbabile che arrivi al round finale ma, nella migliore delle ipotesi, potrebbe essere ministro degli Esteri nel prossimo governo. Nell’ala centrista dei Tory si dovrebbe candidare anche Jeremy Hunt, l’ex ministro che era stato sconfitto da Johnson alle primarie del 2019. Tuttavia i militanti dei Tory non amano troppo le minestre riscaldate e Hunt ha una pessima reputazione soprattutto nella destra del partito.


Fino a qualche mese fa si pensava che la battaglia per la successione di Johnson sarebbe stato uno scontro a due tra il cancelliere dello Scacchiere Rishi Sunak e la ministra degli Esteri Liz Truss. Ma nel frattempo la stella di Sunak si è offuscata in seguito a uno scandalo fiscale che ha coinvolto sua moglie, la miliardaria indiana Akshata Murthy, che ha approfittato di un cavillo per non pagare le tasse in Gran Bretagna. Malgrado questo, l’ex cancelliere resta uno dei candidati in pectore con un grande seguito nel gruppo parlamentare Tory. Lo stesso si può dire di Truss, che non ha mai fatto mistero delle sue ambizioni. Malgrado il suo passato da remainer, la ministra degli Esteri, a cui è stato affidato il dossier dei rapporti con l’Ue, ha stretto un’alleanza di scopo con i falchi euroscettici dello European Research Group (Erg), che portano con sé un serbatoio di voti. Tuttavia, molti dubitano che un personaggio così ideologizzato – un’ultraliberale che si pone come l’erede di Margaret Thatcher – sia la figura giusta per unire il partito in questa fase. Nell’ala euroscettica dei Tory si è già candidata Suella Braverman e forse seguirà Steve Baker, il ribelle conservatore che guidò l’insurrezione contro Theresa May nel 2019. Ma entrambi verranno fatti fuori nei primi turni. 

 

Infine, potrebbero anche esserci due candidati che rappresentano alla perfezione il “British Dream”: Sajid Javid e Nadhim Zahawi. Javid è stato il primo membro del governo a dimettersi martedì sera, scatenando l’effetto domino che ha portato all’addio di Boris Johnson. In un grande discorso in Parlamento il giorno successivo, Javid ha motivato la sua scelta facendo riferimento al suo passato: il figlio di un conducente dell’autobus pachistano cresciuto in un quartieraccio di Bristol, e affermatosi in finanza e successivamente in politica. Quel discorso ai Comuni è stato letto da molti come il preludio della sua candidatura alle primarie. Nelle ultime quarantotto ore le cose sono andate meno bene per Nadhim Zahawi, che ha accettato di essere cancelliere dello Scacchiere martedì sera e ha chiesto le dimissioni di Johnson appena ventiquattro ore dopo. Anche Zahawi è un “self-made man”: è emigrato dall’Iraq di Saddam all’età di undici anni, e ha fondato l’agenzia di ricerca di mercato YouGov prima di entrare in politica. Sarebbe stato uno dei candidati in pectore, ma le scelte incomprensibili degli ultimi due giorni non lo hanno aiutato. 

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