La notte di Boris

Il premier inglese balbetta di fronte all'ammutinamento dei suoi Tory

Paola Peduzzi

I calcoli di chi vuole sopravvivere affossando Boris Johnson, che esclude leonino le proprie dimissioni anche se a chiedergliele sono un fedelissimo (ma pur sempre ex traditore) come Michael Gove e una delegazione intera di ministri che avanza ripetendo l’inno del golpe: o se ne va lui o ce ne andiamo noi

L’ammutinamento è stato molto più rapido e compatto di quanto si pensasse, con buona pace di chi diceva che no, non c’era stato alcun coordinamento, solo un insperato desiderio comune di integrità esploso tutto insieme. Ministri, sottosegretari, consiglieri: ieri il governo inglese si è svuotato, sono arrivate 38 lettere di dimissioni, e moltissime dichiarazioni del tipo: se non se ne va Boris Johnson, me ne vado io. Le pressioni sono continuate fitte fitte, mentre il premier inglese ripeteva: no, non mi dimetto. Il comitato di direzione del Partito conservatore, il 1922, ha deciso di non cambiare le regole  per chiedere un secondo voto di fiducia (l’ultimo è stato 31 giorni fa: il 40 per cento dei Tory votò la sfiducia).

 

A un certo punto della giornata di ieri, chi aveva deciso di restare nel governo anche solo in attesa sembrava molto più debole di chi aveva deciso di andarsene, come se fosse rimasto intrappolato: insalvabile. Se i tuoi ministri e i tuoi deputati non temono più la tua vendetta nei confronti degli sleali, vuol dire che il tuo potere non c’è più o non fa più paura, che è un po’ la stessa cosa. Ed è questo il punto a cui è arrivato Johnson, che esclude leonino le proprie dimissioni anche se a chiedergliele sono un fedelissimo (ma pur sempre ex traditore) come Michael Gove e una delegazione intera di ministri che avanza ripetendo l’inno del golpe: o se ne va lui o ce ne andiamo noi. Quindi Johnson aspetta di essere cacciato? O ha un piano, sempre ammesso che arrivare in fondo alla settimana, ogni settimana, lo sia? Una risposta ancora non c’è, così come non si sa, in questo gioco in cui tutti si sono fatti male almeno un po’, chi possa essere un candidato credibile per la successione.

 

Chissà se si trova in una situazione migliore Liz Truss, ministro degli Esteri, che non ha lasciato il governo, o l’ex cancelliere dello Scacchiere Rishi Sunak e l’ex ministro della Sanità Sajid Javid, che martedì hanno dato il via alla fuga dal governo, citando le parole chiave che poi sono state riprese uguali da chi li ha seguiti: il paese ha bisogno di una guida appropriata, seria, competente e oggi non ce l’ha. C’è chi dice che anche il neocancelliere dello Scacchiere, Nadhim Zahawi, abbia voluto questo ruolo nel momento in cui tutti scappano per rivendersi come un salvatore responsabile, e candidarsi alla successione di Johnson. Mentre ogni conservatore pensa se tuffarsi subito o  aspettare, e mentre si vede netta l’ipocrisia moralizzatrice di chi per anni ha votato e sostenuto Johnson conoscendone benissimo carattere, istinto e debolezze, pochi scommettono sulla sopravvivenza del premier, tranne forse lui stesso. Che si è dovuto sottoporre alla tortura della supercommissione che riunisce i presidenti delle commissioni parlamentari e che una volta l’anno convoca il premier per discutere delle sue strategie politiche: quella volta era ieri.

 

Così, a parte i momenti quasi surreali in cui Johnson ha spiegato (benissimo) perché e come si difende l’Ucraina, il resto è stato un balbettio continuo del premier, con attacchi frontali dei deputati che gli dicevano: tu non comprendi gli scandali che coinvolgono te e i tuoi perché sei abituato a rimanere impunito. Johnson balbettava, un po’ si scusava, un po’ si giustificava, un po’ negava: uno spettacolo mesto rispetto alla sfrontatezza con cui il premier dice di non volersene andare. E così il Regno Unito passa da uno scandalo all’altro (e la scandalosa Brexit non è nemmeno il motivo della crisi, che paradosso) con un partito al governo che non sa più come salvarsi, e dice al suo premier quel che in fondo pensa di sé: non cambierai mai.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi