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Piccola posta - reportage da Odessa

La pretesa di avere lo stesso diritto degli ucraini a votare sulla guerra

Adriano Sofri

Il passato coloniale rimosso dietro la cautela tedesca sull’Ucraina e sulle armi alla resistenza. La disputa tra Habermas e Snyder e l'ideale di superiorità nascosto

Odessa, dal nostro inviato. “Una nuova ‘disputa tra storici’ (Historikerstreit) sull’Olocausto sta scuotendo la Germania. La prima si era svolta oltre trentacinque anni fa, durante la Guerra fredda. Contro lo storico neoconservatore Ernst Nolte, che deplorava il fatto che la Germania rimanesse prigioniera di ‘un passato che non passa’, Jürgen Habermas voleva fare della memoria dell’Olocausto un pilastro della coscienza storica tedesca”. Come sempre, vale la pena di leggere Enzo Traverso, “Olocausto e memorie anticoloniali” (jacobinitalia, 11 giugno). Il nazismo aveva tre obiettivi non dissociabili: anticomunismo, colonialismo, antisemitismo. Il secondo è il più rimosso: “Dopo la perdita delle colonie africane sancita dal trattato di Versailles, Hitler localizzava il lebensraum tedesco nell’Europa orientale, un mondo slavo organizzato come uno stato comunista... Per l’ideologia nazista, l’Urss riuniva due forme di alterità che avevano plasmato la storia occidentale per due secoli: l’ebreo e il suddito coloniale”. 


Il tema ha un rilievo cruciale nella lunga, durissima requisitoria di Timothy Snyder contro la difesa che Habermas ha fatto della “cautela” di Olaf Scholz sull’Ucraina, e in genere della opposizione ad armare la resistenza, in nome dell’impossibilità di “vincere” su una potenza nucleare come la Russia. Snyder pensa che l’intera esuberante polemica tedesca tenda a riparlare (piuttosto che a decidere e ad agire) soprattutto della Germania e del suo eterno destino, e molto meno dell’Ucraina e del suo incombente. E però a passare contraddittoriamente sotto silenzio la peculiare responsabilità tedesca nella Seconda guerra, che è il punto di partenza consueto del suo confronto storico: “Hitler descrisse gli ucraini come un popolo coloniale, e tentò di deportarli, farli morire di fame e schiavizzarli. Mirava a valersi delle forniture di cibo ucraino per fare della Germania un impero mondiale autarchico”. Motivazione analoga a quella adottata oggi da Putin, e peraltro a quella già perseguita nello stesso ambito da Stalin. “Un paese in cui i tedeschi uccisero milioni di persone, non tanto tempo fa”. 


Penso che questa sottolineatura consenta di vedere più nitidamente una distratta, e supposta innocente, distorsione coloniale nel nostro modo, tedesco e italiano ed europeo, di considerare l’Ucraina. (E di considerare, dal 1945 in poi, l’intera Europa di mezzo e orientale, restata in mano all’Urss). Dopotutto, l’Ucraina è un paese, grande abbastanza, ma ritenuto povero di storia propria, e che bussa alle nostre porte come un sia pur dignitoso mendicante. La conosciamo attraverso le sue brave badanti, addette ai nostri corpi indeboliti ma ostinati. 


Troviamo proverbiale la sua corruzione, di colpo dimentichi della nostra, troviamo buffo il suo presidente, dimentichi dei nostri. Ne ammiriamo i riflessi eroici e ottocenteschi – Gloria all’Ucraina, gloria agli eroi! – ma come un retaggio anacronistico e pressoché primitivo. Ne decifriamo scrupolosamente i tatuaggi. Ne deprechiamo una politica rudimentale e quasi obbligata dalla geografia. Questa sua immaginata o dichiarata rozzezza è in fondo la più forte giustificazione che regaliamo alla potenza miserabile che l’ha aggredita. Però noi, la nostra sofisticata e disincantata politica, non siamo stati nemmeno capaci di immaginare che la Russia li avrebbe invasi, e come: loro lo sapevano, e sapevano che cosa avrebbe significato per le loro vite. Noi non siamo ancora abbastanza diversi da come eravamo negli anni felici del Patto di Varsavia, quando in questa Europa dell’est si veniva a regalare calze di nylon: un colonialismo condiviso.

 

“Niente – scrive Snyder – nel discorso tedesco ha preparato i tedeschi alla realtà di un attacco russo e alla realtà di una resistenza ucraina. Dato un tal doppio fallimento, sembrerebbe ragionevole chiedersi se non ci sia nel discorso tedesco qualcosa di essenziale che ha bisogno di essere riparato, magari ascoltando discorsi e argomenti che vengano da oltre la Germania. E’ la regola prima del discorso post coloniale che ai colonizzati sia permesso parlare. Habermas non cita un nome ucraino, non una voce. Il solo europeo dell’est che ha un nome e una voce nel suo saggio è Vladimir Putin… Così come l’integrazione ha consentito agli europei di dimenticare l’aspetto coloniale della loro guerra, ha consentito agli europei occidentali di dimenticare le loro guerre coloniali degli anni 50, 60, 70. Una volta perse le guerre coloniali, i leader europei passarono a occuparsi dell’Europa... Dal momento che gli europei in genere, e i tedeschi in particolare, non hanno indagato sulla propria storia coloniale, succede loro di mancare l’ovvia lezione della guerra russo-ucraina: l’impero deve perdere una guerra coloniale per smettere di essere un impero”.


A un atteggiamento di superiorità, consapevole o no, e soprattutto a un’indulgente persuasione di inferiorità altrui, e dell’Ucraina, che non è affatto improprio chiamare coloniale, appartiene clamorosamente la pretesa, esplicita in alcune delle più reputate prese di posizione collettive tedesche contro l’aiuto in armi, di avere almeno lo stesso diritto degli ucraini a votare sulla guerra e la sua conclusione, in nome della minaccia che incombe su tutta l’umanità: con il sottinteso, anche questo esplicito, che chi non si trova sotto il peso emotivo delle bombe abbia una maggior lucidità e sangue freddo. L’ho detto in modo da sfidare il ridicolo, ma non è che venga detta molto più discretamente. In Germania e, com’è noto, in Italia.