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Trump ha favorito la rivolta il 6 gennaio. Perché il suo Gabinetto non l'ha destituito?

Luciana Grosso

L'ex presidente degli Stati Uniti voleva unirsi ai manifestanti che hanno assaltato il Campidoglio e marciare con loro. Lo rivela la testimonianza al Congresso di Cassidy Hutchinson, che all'epoca dell'assalto a Capitol Hill faceva parte dello staff ristretto del capo di Gabinetto

Di quello che è successo al Campidoglio il 6 gennaio 2020, sappiamo tutto, o quasi: sappiamo della folla allucinata che sfonda le finestre, dei deputati che scappano nei bunker, dell’aula profanata. Ma quello che non abbiamo mai saputo, almeno fino a ieri, è cosa stesse succedendo di preciso, in quei minuti, all’interno della Casa Bianca: c’era consapevolezza? Sgomento? Soddisfazione? Entusiasmo? Paura? Cosa passava per la testa di Donald Trump a pochi minuti dal comizio nel quale aveva detto ai suoi di marciare sul Congresso? Cosa è successo, insomma, il 6 gennaio alla Casa Bianca?

   

      

Ecco. Questa domanda, ieri, per la prima volta, ha avuto risposta: alla Casa Bianca, lontana solo pochi passi e un’alta inferriata, dal luogo dove marciavano gli aspiranti golpisti trumpiani stava succedendo di tutto; stava succedendo qualcosa di forse ancora più impensabile e sconclusionato di quello che stava succedendo al Campidoglio: alla Casa Bianca, in quei minuti, c’erano solo confusione e allucinata follia.

 

A raccontarlo, alla Commissione del Congresso che indaga sui fatti del 6 gennaio e, dunque, a tutto il mondo, è stata Cassidy Hutchinson, una ragazza di 28 anni che, all’epoca dei fatti, faceva parte dello staff ristretto del capo di Gabinetto di Trump, Mark Meadows. Con le sue parole ieri Hutchinson ha fornito un tassello della storia che non si conosceva sino a qui e che risponde alla domanda “Come ha reagito Trump quando ha saputo dei disordini?”. Sino a ora ne sapevamo poco o niente, al massimo si sapeva che la figlia Ivanka (o altri per lei) aveva dovuto mettercene del bello e del buono per convincere il padre a fare un video nel quale, con evidente riluttanza, l’ex Presidente invitava i rivoltosi a tornare a casa. Ma, a parte questo, sino a ieri, non si sapeva altro.

   

        

Ora invece sappiamo un sacco di cose. Per esempio sappiamo che Trump, una volta accesa la miccia della rivolta, con il suo discorso all’Ellisse, voleva addirittura unirsi ai manifestanti, marciare con loro. Oppure sappiamo che solo la massiccia e fisica resistenza dell’autista della macchina del Presidente ha impedito che Trump stesso, urlando “Fammi guidare, sono il tuo cazzo di Presidente”, si mettesse alla guida per raggiungere la folla (versione confermata dalle chat dei membri del Secret Service, la sicurezza del Presidente).

    

      

Oppure sappiamo che la presenza di armi nelle tasche dei rivoltosi, durante la manifestazione, prima, e l’assalto, poi, era ampiamente prevista, ove non favorita da Trump, che infatti aveva dato ordine di non farla tanto lunga con i metal detector.

    

     

Oppure sappiamo che in quei minuti drammatici (almeno così li considerava chiunque non fosse Donald Trump) alla Casa Bianca c’era tutto tranne che sorpresa dal momento che l’intero staff del Presidente, da Rudy Giuliani a Mark Meadows, era stato ampiamente informato del fatto che quel giorno, a Washington, le cose “si sarebbero messe male”. 

 

Oppure sappiamo di uno scambio tra il consigliere di Trump Pat Cipollone e Meadows nel corso del quale il primo ha fatto presente che gli assalitori del Campidoglio stavano urlando di voler impiccare Pence e l’altro ha rispondo che secondo il Presidente, in fondo, non sarebbe stato poi questo gran male (lo scambio finisce con Cipollone che urla “Moriranno delle persone e il sangue finirà sulle tue fottute mani"). 

     

     

Ma non è tutto: dalle parole di Hutchinson sappiamo anche che, in quelle ore e in quei giorni, nei corridoi e nelle stanze dell’Ala Ovest c’era consapevolezza: consapevolezza della gravità di quel che si era fatto, o quantomeno, consentito. E per questo, in quei giorni, alla Casa Bianca c’era chi correva a tardivi e poco dignitosi ripari (come la richiesta di Meadows di avere dal Presidente una specie di grazia in bianco, che potesse valere per tutte le cose di cui, prima o poi, avrebbe potuto essere accusato) o dal lato opposto c’era chi, invece, sin da subito, aveva cominciato a pensare con insistenza al XXV emendamento, quello che prevede la rimozione di un Presidente che si dimostra inadatto a guidare il Paese.

   

Secondo Hutchinson solo la paura di essere destituito con il XXV emendamento ha trattenuto Trump dall’insistere sulla sua linea incendiaria.

   

Quello che ancora non si sa, però, a questo punto, è cosa mai abbia trattenuto i membri del suo Gabinetto dal procedere e dal destituire il Presidente, le cui intemperanze stavano andando di gran lunga oltre la fattispecie peggiore prevista dalla Costituzione. 

   

 

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