Draghi, Macron e Scholz sul treno che li sta portando a Kyiv (Ansa / Filippo Attili) 

trasferte europee

Cosa tiene insieme il viaggio di Draghi, le ritorsioni sul gas e le mosse della Bce

Claudio Cerasa

Un filo lega la visita del premier con Macron e Scholz a Kyiv, la riduzione improvvisa dei flussi dalla Russia e lo scudo anti-spread di Francoforte. Quanto pesa il tetto al gas sul futuro della guerra

Che cosa tiene insieme il viaggio in Ucraina di Mario Draghi, di Olaf Scholz e di Emmanuel Macron, la riduzione improvvisa dei flussi di gas dalla Russia all’Europa e la pezza che è stata costretta a mettere ieri la Bce dopo la maldestra uscita con cui Christine Lagarde ha annunciato la scorsa settimana l’aumento dei tassi di interesse per contrastare l’inflazione? Apparentemente, poco, o quasi nulla, ma nella sostanza le tre storie si incrociano l’una con l’altra e da prospettive diverse ci offrono alcuni elementi importanti per capire qualcosa di più su una guerra parallela a quella combattuta sul campo: quella economica.

 

Ieri, come sapete, l’Eni ha comunicato di avere registrato una riduzione dei flussi dal proprio fornitore russo pari al 15 per cento dell’approvvigionamento giornaliero. La motivazione ufficiosa trasmessa da Gazprom al governo italiano, e ai governi degli altri paesi coinvolti dal taglio, paesi come la Germania, è che il taglio si è reso necessario a seguito di un effetto indiretto provocato dalle sanzioni: la Russia dice di aspettare da alcuni giorni dal Canada dei pezzi di ricambio targati Siemens per le stazioni di pompaggio e quindi in assenza di quei pezzi di ricambio Gazprom è stata costretta ad abbassare la portata.

 

Il governo italiano, sulla base delle informazioni raccolte, non crede però a questa versione dei fatti e considera più probabile che quello messo in piedi dalla Russia sia come un messaggio infilato in una bottiglia: nel giorno precedente al viaggio di Draghi, Scholz e Macron a Kyiv, la Russia sceglie per la prima volta dall’inizio della guerra di tagliare in modo volontario il gas ai paesi europei (con la Germania colpita dal taglio più dell’Italia: 40 per cento in meno). E la ragione è legata a un aspetto importante della missione dei tre leader europei in Ucraina: la battaglia per fissare un tetto al costo del gas. E’ il famoso “price cap”. E’ una battaglia portata avanti dall’Italia. E’ una battaglia sostenuta da buona parte dell’Unione europea. Ed è una battaglia che vede la Germania, insieme con i Paesi Bassi, diffidente. Per una ragione semplice.

 

La Germania è convinta che un tetto al prezzo del gas porterà pochi benefici perché spingerà la Russia a fare con più intensità quello che ha iniziato a fare in queste ore: tagliare i suoi rifornimenti del gas e mettere in difficoltà il tessuto produttivo. L’Italia è invece convinta che un tetto al prezzo del gas porterà solo benefici ai paesi europei, permettendo di far affluire meno denari nelle casse di Putin e permettendo allo stesso tempo di far diminuire il costo delle bollette del gas e anche quello dell’elettricità, il cui prezzo come è noto è accoppiato al prezzo del gas, e più il prezzo del gas scenderà e più le bollette elettriche costeranno di meno.

 

Sul tavolo del governo si trova un dossier stilato da alcuni tecnici che offre anche alcune stime concrete su cosa significherebbe apporre un tetto al prezzo del gas a livello europeo in un arco temporale che potrebbe andare dal primo luglio 2022 al 31 dicembre 2022. In questo arco temporale, le erogazioni medie previste di gas dalla Russia all’Europa ammontano a circa 59 miliardi di metri cubi. Attualmente, il costo pagato dall’Europa è di circa 100 euro per ogni Megawattora (MWh). A fronte di un taglio del costo del gas da 100 euro a 70 ogni Megawattora, l’esborso totale dei paesi dell’Unione europea arriverebbe a 40 miliardi di euro in sei mesi, con una diminuzione dei flussi di cassa pari al 25 per cento. A fronte di un taglio del costo del gas a 60 euro, l’esborso sarebbe pari a 36,4 miliardi, con una diminuzione del 32 per cento rispetto ai flussi di cassa attuali.

 

La scommessa di Draghi e di Macron, che a differenza di Draghi ha la fortuna di avere un sistema energetico nazionale alimentato in buona parte da una fonte energetica che rende la Francia non dipendente dalla Russia (si chiama nucleare), è di convincere Scholz sul price cap (in fondo la Russia i rifornimenti di gas li taglia anche senza che vi sia il price cap) sia per questioni di metodo (meno soldi arrivano alla Russia e meglio è) sia per questioni di merito. E qui si arriva al tema della Bce e a una contestazione precisa giunta negli ultimi giorni al numero uno della Banca centrale europea sia dal suo predecessore (Draghi) sia dal suo tutore politico (Macron). E la contestazione è semplice. L’Europa ha un problema legato all’inflazione, d’accordo. L’inflazione, in Europa, nasce però prevalentemente per ragioni legate all’aumento dei prezzi energetici. L’aumento dei prezzi energetici è un aumento che può essere tenuto a freno intervenendo sul costo del gas. E prima di intervenire sull’inflazione aumentando i tassi, utilizzando frasi affrettate che hanno disorientato i mercati e che ieri Lagarde è stata costretta a correggere, il governatore della Bce avrebbe forse potuto aspettare ancora qualche tempo in attesa di capire se un intervento sul costo del gas avrebbe potuto o no alleviare l’inflazione dell’euro.

 

C’è una battaglia che si combatte sul campo, e sulla quale il presidente ucraino Volodymyr Zelensky chiederà oggi a Draghi, Macron e Scholz un sostegno ancora maggiore. E c’è una battaglia che si combatte su un altro campo, quello economico, per la quale oggi, in treno da Odessa a Kyiv, saranno Draghi a Macron a chiedere una mano a Scholz. Putin vuole disunire l’Europa, anche sul gas, ma chissà che la ritorsione russa sul gas non serva all’Europa per ricordarsi che l’unico modo per dialogare con la Russia è continuare a mostrare la propria forza. Vale sul campo militare. Vale sul piano economico. La missione di Draghi in Ucraina, in fondo, si può spiegare anche così.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.