Cosa è successo alla seconda udienza della Commissione d'inchiesta sull'assalto al Campidoglio

Luciana Grosso

Come la testimonianza del "nuovo eroe" dei democratici, William Barr, potrebbe aver giovato a Trump, mostrando la sua sincera convinzione invece della sua colpevole malafede per i fatti del 6 gennaio 2021

I democratici americani hanno un nuovo eroe, si chiama William Barr.  Fino a pochi mesi fa gli stessi democratici lo detestavano, e a essere precisi, lo detestano ancora e continuano ad avere un giudizio pessimo del suo operato come segretario alla Giustizia nel governo di Donald Trump. Eppure ieri, nel corso della seconda udienza della Commissione della Camera sull’assalto al Campidoglio, Barr ha fatto un inaspettato regalo ai Dem.

 

Nel corso della deposizione video fatta alcune settimane fa alla Commissione (incaricata di scoprire se e quanto la presidenza Trump sia stata coinvolta nella pianificazione e nell’esecuzione dell’irruzione e persino di un tentato Golpe) e mostrata ieri, Barr ha detto esplicitamente che “il presidente Trump sembrava aver perso ogni contatto con la realtà“ e che “non era minimamente interessato a cosa dicessero i fatti”. In particolare, Trump era completamente indifferente al fatto che non ci fosse traccia, da nessuna parte, in nessuno stato, di frode elettorale o di voti rubati. 

 

Nonostante ogni verifica possibile non facesse altro che confermare la vittoria di Biden, secondo Barr, Trump portava avanti teorie “idiote e amatoriali“ che smentivano ( o meglio, non smentivano per niente) il risultato. Per questo, proprio in conseguenza della protervia con cui Trump sosteneva, contro ogni evidenza, di aver vinto le elezioni che invece aveva perso, e con cui chiedeva al ministro della Giustizia di aiutarlo a imbastire una causa che ne invalidasse l’esito, Barr (che non ha comunque mai rinnegato il suo trumpismo e che ha detto che voterebbe di nuovo per Trump) si è dimesso poche settimane dopo il voto, in dissenso con la Casa Bianca.

 

 

La dichiarazione di Barr (che sui social e tra gli osservatori  ha creato un gran putiferio, proprio perché proveniente da un fedelissimo di Trump) non è stata la sola mostrata dalla Commissione. Tra i video proiettati c'era anche quello dell’ex manager della campagna di Trump 2020, Bill Stepien, che ha raccontato di come le persone che giravano attorno a Trump nei giorni immediatamente successivi alle elezioni erano gergalmente divise in "team normal" e "team Giuliani". Di quest’ultimo gruppo facevano parte i (pochi, in verità) che fomentavano nell’ex presidente la convinzione di aver effettivamente vinto e di dover proclamare (a spoglio ancora in corso) la vittoria. 

 

E proprio alla sera del 3 novembre 2020 è stata dedicata parte dell’udienza di ieri, nella quale è stato ricostruito come, tra lo staff di Trump (inclusi i soliti Jared Kushner e Ivanka Trump ), si stesse diffondendo la convinzione di aver vinto, una convinzione presto ridimensionata dai dati (in particolare dal fatto che Fox News avesse chiamato l’Arizona) ma alla quale Trump non ha voluto arrendersi dicendo che “si stava consumando una frode ai danni del popolo americano”.

 

Detto questo, e assodato che Trump si fosse convinto di una cosa che non aveva nessun fondamento, la Commissione, nella seconda parte dell’udienza,  ha posto di nuovo l’attenzione su quello che è il reale tema dell’indagine, ossia non tanto cosa pensasse Donald Trump, ma come questo può aver influito e influenzato i fatti del 6 gennaio. Secondo il presidente della Commissione Bennie Thompson il filo che collega direttamente Trump al 6 gennaio è il fatto che gran parte dei manifestanti e dei rivoltosi dicessero e ripetessero quel che il presidente aveva detto e ripetuto nelle settimane precedenti. 

 

 

Un filo che va dimostrato e che, ora, si trova persino a fare i conti con il fatto che la testimonianza di Barr potrebbe, paradossalmente, aver giovato a Trump, mostrando la sua sincera convinzione invece della sua colpevole malafede. Per questo, uno dei punti su cui la Commissione si è maggiormente soffermata è stato il fatto che, nelle settimane successive al voto, la campagna di Trump abbia avviato una gigantesca raccolta fondi (250 milioni in poche settimane) per pagare le cause necessarie a impedire che gli americani venissero scippati del loro voto. E soprattutto che, di essere stati scippati, fossero convinti.