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invertire la rotta

Un gran libro per sconfiggere il tarlo delle democrazie liberali: l'autoflagellazione

Claudio Cerasa

"La guerra all’occidente": il saggio che bisognerebbe regalare alle scuole per riacquistare un po' più di orgoglio e perdere un po' di senso di colpa

Bisognerebbe smetterla di sentirci in colpa. Bisognerebbe smetterla di autoflagellarci. Bisognerebbe smetterla di considerare ogni aggressione subita dall’occidente frutto di una reazione legittima dei nemici dell’occidente. E bisognerebbe avere il coraggio di riconoscere che nella guerra che l’occidente sta combattendo contro Putin i nemici dell’occidente si trovano non solo tra le file del putinismo ma anche tra le file di chi in teoria il putinismo dice di volerlo combattere.

 

Douglas Murray è un grande giornalista inglese. E’ un volto rispettato dello Spectator. E’ autore di saggi notevoli venduti in tutto il mondo. E pochi giorni prima che cominciasse la guerra ha dato alle stampe un libro importante che meriterebbe di essere regalato a tutti i falsi amici delle democrazie liberali. Il titolo del libro è “La guerra all’occidente”. E il senso del saggio di Murray è presto detto: da troppi anni, il mondo libero ha scelto di combattere contro se stesso, mettendo in discussione le radici stesse della tradizione occidentale, alimentando il senso di colpa dell’occidente e dando forza a uno spirito disfattista, devastante e corrosivo, che ha permesso di regalare un’autostrada ai suoi nemici esterni. La più grande minaccia alla nostra civiltà, scrive Murray, non viene da una intimidatoria potenza armata di aerei da combattimento e di artiglieria pesante, ma viene da un pensiero diffuso “all’interno dell’occidente che intende smantellare il tessuto delle nostre società, pezzo per pezzo, mosso dalla convinzione di dover dimostrare che l’occidente è dominato dal peccato, che l’occidente è colpevole di un numero infinito di crimini e che le culture occidentali meritano di essere quotidianamente processate sulla pubblica piazza”.

 

La tesi di Murray è che la narrativa dell’odio dell’occidente verso se stesso abbia reso per troppo tempo gli stessi occidentali come “parte attiva della distruzione della propria civiltà”. E il tentativo di denigrare e distruggere tutto ciò che ha reso grande la civiltà occidentale ha creato conseguenze di lungo termine: ha trasformato il passato in un’arma autodistruttiva, ha convinto le nuove generazioni che la nostra civiltà sia intrinsecamente malvagia e che per questo debba essere rinnegata, svalutata e rifiutata e ha rimosso dal nostro orizzonte l’idea che le società occidentali siano le uniche in grado di difendere il nostro benessere senza sacrificare la nostra libertà. Il brodo di coltura antioccidentale, in questi anni, è stato alimentato in modo simmetrico dal populismo illiberale di sinistra e dal nazionalismo liberticida di destra.

E’ all’interno di quel brodo di coltura che oggi prendono coraggio, in tutto il mondo, i così detti complessisti della guerra, che armati del loro pregiudizio antioccidentale (e antiamericano) cercano ogni scusa (anche il pacifismo) per non armare fino in fondo la resistenza contro un dittatore sanguinario di nome Putin (l’antiamericanismo si traduce in una non ostilità aperta nei confronti dei nemici degli americani, l’antieuropeismo si traduce in una non ostilità aperta nei confronti dei nemici dell’Europa).

 

Ed è osservando quel brodo di coltura che Putin, quando la guerra è iniziata, ha probabilmente pensato di trovare quello che poi non si è trovato di fronte: un occidente debole, molle, incapace di difendere se stesso. “Il grave errore di Putin – ha detto ieri il presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola – è stato presumere che le nostre differenze fossero una debolezza. Putin si è sbagliato. In democrazie come la nostre, questi sono i nostri punti di forza, la nostra bussola per costruire il futuro”.

 

Salvare la liberaldemocrazia dai suoi tarli interni. Affidarsi alla capacità dell’occidente di rimarginare le proprie ferite. Avere più consapevolezza del mondo in cui ci troviamo. E ricordare che la grande guerra che l’occidente dovrà vincere, quando il putinismo sarà sconfitto, è quella che l’occidente combatte da anni contro se stesso. Più orgoglio, meno senso di colpa: il futuro delle democrazie liberali, in fondo, passa anche da qui.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.