Qui Bruxelles
L'embargo sul petrolio è a portata di mano, nonostante Orbán che gioca con il fuoco
Ieri tutti gli ambasciatori europei hanno ribadito “la volontà politica di approvare” il sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia, con la Commissione pronta a mediare per risolvere i problemi dei singoli paesi e trovare un compromesso. Ma in Europa cresce l'esasperazione verso il premier ungherese
Bruxelles. A causa dell’opposizione dell’Ungheria, due riunioni degli ambasciatori degli stati membri dell’Unione europea ieri non sono bastate per sbloccare lo stallo sul sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia, proposto mercoledì dalla Commissione. Il primo ministro, Viktor Orbán, ha accusato Ursula von der Leyen di aver lanciato una “bomba nucleare” contro l’economia del suo paese con l’embargo sul petrolio russo. La deroga iniziale concessa all’Ungheria (e alla Slovacchia) di un anno in più per applicare il divieto di importazione non è stata sufficiente a fargli cambiare idea. E nemmeno la seconda offerta presentata ieri: niente embargo fino alla fine del 2024 per Ungheria e Slovacchia (e fino a metà del 2024 per la Repubblica ceca).
Questi paesi non solo sono fortemente dipendenti dal petrolio russo, ma hanno un’infrastruttura di raffinerie e oleodotti tarati sulla Russia. Alzando sempre più la voce, ieri Orbán ha chiesto all’Ue cinque anni di tempo e i soldi per ristrutturare le sue raffinerie. Anche la Grecia, nonostante abbia ricevuto concessioni e tempi più lunghi, ha obiettato al divieto per le navi battenti bandiera europea di trasportare petrolio russo. L’Alto rappresentante Josep Borrell ha minacciato di convocare una riunione straordinaria dei ministri degli Esteri “per discutere di ciò che sta accadendo”, se non sarà trovata un’intesa nel fine settimana.
In realtà, l’accordo sull’embargo petrolifero è a portata di mano. Ieri tutti gli ambasciatori hanno ribadito “la volontà politica di approvare” il sesto pacchetto, spiega una fonte diplomatica di Bruxelles. Ci sono stati scambi duri tra l’ambasciatore polacco e quelli di Ungheria e Slovacchia. I rappresentanti di Finlandia e Irlanda hanno accusato quelli di Grecia, Malta e Cipro di voler fare concorrenza sleale con le petroliere. Ma la Commissione ha avviato contatti bilaterali per risolvere i problemi dei singoli paesi e ha promesso un nuovo testo di compromesso. “E’ un lavoro da certosino”, dice al Foglio un funzionario dell’Ue. Dare un anno in più di tempo a Orbán non è considerato un dramma in termini di efficacia dell’embargo: rispetto ad altri paesi come la Germania, l’Ungheria è un cliente minore per la Russia. Non saranno le fatture pagate da Orbán fino al 2025 a tenere in piedi l’economia russa. Gli ambasciatori dovrebbero riunirsi di nuovo oggi per cercare di chiudere prima di lunedì. I leader del G7 domani discuteranno in videoconferenza per coordinarsi sulle sanzioni che dovrebbero essere annunciate il 9 maggio in risposta alla parata della vittoria di Vladimir Putin.
Superato il sesto pacchetto di sanzioni, per l’Ue resterà il problema Orbán. C’è una crescente esasperazione per l’attitudine del premier ungherese. Il sospetto è che Orbán voglia prendere in ostaggio le sanzioni contro la Russia per ottenere sempre più fondi dall’Ue, compreso il via libera ai 7,2 miliardi di euro del piano di Recovery, bloccati per le mancanze ungheresi sullo stato di diritto. “Si può discutere quanti anni di esenzione (dall’embargo), ma legare il petrolio a qualcosa che non ha niente a che fare come i fondi del Recovery è inaccettabile”, ha avvertito Borrell. Il gioco di Orbán è a doppio taglio: più fa il bullo sulla Russia, meno gli altri partner saranno disponibili a fargli concessioni sul Recovery o sullo stato di diritto.
L'editoriale dell'elefantino