(foto di Ansa)

social senza filtri?

Musk rimugina su Twitter, tra neutralità, Cina e crollo di Tesla

Pietro Minto

Dopo nemmeno una settimana, l'uomo più ricco del mondo potrebbe voler sciogliere l'accordo e rinunciare al social network. C'entrano Pechino, gli affari e gli estremismi politici 

Come il gatto di Schrödinger, vivo e morto contemporaneamente finché non si apre la scatola, nel momento in cui scriviamo Twitter è di proprietà di Elon Musk, ma anche no. Dopo l’accordo raggiunto questa settimana – per cui il ceo di Tesla avrebbe sborsato 44 miliardi di dollari per prendere il controllo della società – tra mercoledì e giovedì s’è cominciato a dire, come ha fatto la Reuters, che Musk potrebbe averci ripensato e che sarebbe disposto a sborsare il miliardo di dollari di “break up fee” (una spesa per sciogliere l’intesa) pur di togliersi d’impiccio.

 

Tra le ragioni più probabili del ripensamento ci sarebbe proprio Tesla, che ha perso un quinto del suo valore in borsa da quando Musk ha iniziato la sua danza attorno a Twitter, proprio perché l’acquisto del social network sarebbe finanziato tramite la vendita di azioni Tesla. Il mercato non ha gradito, lanciando un segnale chiaro all’imprevedibile imprenditore (126 miliardi di perdite nel giorno dell’accordo con Twitter).

 

Un’altra strada porta in Cina, dove Tesla produce metà dei suoi veicoli e un quarto delle sue entrate, senza contare il peso della filiera cinese nel settore delle batterie elettriche, essenziale per l’azienda. Storicamente, i rapporti tra il social network e Pechino sono gelidi: nel 2009 il governo cinese arrivò a bandire il sito e da allora fatica a imporre la propria agenda sul social network. A indicare la via cinese è stato un altro billionaire tecnologico con la passione dei razzi spaziali: Jeff Bezos, fondatore di Amazon, che nei giorni scorsi si è chiesto – sempre su Twitter – se “il governo cinese non avesse guadagnato influenza” sul sito, dal momento che un partner commerciale come Musk ne era alla guida. Sono supposizioni, ovviamente – anzi, veleno tra miliardari – ma il sospetto rimane anche tra gli addetti ai lavori e alcuni dipendenti del social, come scrive il Wall Street Journal.

 

Questa debolezza nei confronti della Cina minerebbe alle fondamenta il progetto di “nuovo Twitter” che Musk anticipa da ormai giorni: un sito libero e aperto, in cui la libertà di espressione viene “finalmente” rispettata. Non proprio quello che vorrebbe il governo di Pechino, insomma. Eppure, l’affaire Twitter nasce proprio come guerra personale del miliardario in nome della “freedom of speech”, di cui si è fatto paladino. 

 

“Affinché possa meritare la fiducia del pubblico,” ha scritto Musk, “dev’essere politicamente neutrale, che significa fare arrabbiare estrema destra ed estrema sinistra in ugual misura”. Poco prima, aveva pubblicato un meme che criticava il pregiudizio “di sinistra” della piattaforma stessa. Che l’accordo vada o no in porto, quindi, è interessante sottolineare come il ceo abbia di fatto sposato la linea da tempo proposta da buona parte della destra statunitense, che da tempo denuncia misteriosi sotterfugi del social network per minare le posizioni conservatrici. Anche per questo, il possibile acquisto di Twitter ha ringalluzzito proprio i repubblicani, che sperano in questa nuova frase di libertà assoluta per rivedere online Donald Trump. 

 

Politica a parte, Musk sembra aver un approccio superficiale alla moderazione dei contenuti, la complessa scienza a cui sono legati così tanti problemi sociali e politici (populismo, radicalizzazione, fake news). Dire che una piattaforma è giusta solo se fa arrabbiare entrambe le parti politiche tradisce una scarsa comprensione delle complessità di gestione di una piattaforma come quella che Musk ambisce a controllare. 

 

Il sogno di un social aperto, senza filtri, basato sulla libertà d’espressione, non è nemmeno così nuovo. Reddit era nato seguendo questo principio, ad esempio, finendo per riempirsi di estremisti, violenza e materiale disgustoso, e arrivando a chiudere e bandire alcune delle sue sezioni (dette “subreddit”) più controverse. Persino 4chan, il forum in cui tutto era permesso, è arrivato a darsi delle regole, per quanto minime, ispirando l’utente Fredrick Brennan ad aprire 8chan, una versione del sito “davvero” rispettosa della libertà d’espressione. Era il 2013. Da allora 8chan è stato usato da terroristi e razzisti, è stato collegato a crimini d’ogni tipo ed è il luogo in cui è nato QAnon, il movimento cospiratorio pro trumpiano

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