L'assedio continua

Cosa resta di Mariupol

Cecilia Sala

Le bombe dei russi colpiscono Azovstal, ma gli ucraini non accettano l’ultimatum. La resistenza sa che Mosca sta vincendo, ma vuole che paghi il prezzo più alto possibile

La resistenza di Mariupol non si è arresa perché conosce i russi e i loro metodi. Nell’agosto del 2014 Vladimir Putin promise una via di fuga ai soldati ucraini che combattevano a Ilovaisk, in Donbas. Il governo di Kyiv accettò e i suoi uomini si arresero: in centinaia si misero in marcia per lasciare il villaggio assediato ma i russi non rispettarono la promessa e li colpirono  mentre si ritiravano. I sopravvissuti e le famiglie dei morti accusarono le autorità di averli traditi e in quel momento Kyiv perse la sua ingenuità rispetto alle promesse di Putin.

 

Durante questa guerra, gli ucraini erano meno sorpresi di noi quando i russi colpivano i civili in fuga attraverso corridoi umanitari appena concordati con Mosca. Martedì 19 aprile la Difesa russa ha detto che se i marine e gli uomini del battaglione Azov si fossero arresi, sarebbero potuti  uscire dallo stabilimento Azovstal disarmati e la promessa – anche questa volta – è che tutti avrebbero avuto  “salva la vita”. Non hanno accettato, anche se le circostanze sono disperate e i servizi segreti ucraini avevano detto che da Mosca era partito l’ordine di radere al suolo l’acciaieria – che è stata bombardata oggi forse anche con bombe antibunker Fab-3000, talmente potenti da poter distruggere i rifugi sotterranei e Svyatoslav Palamar, vicecomandante del battaglione Azov, ha detto che i civili rintanati nello stabilimento erano sotto le macerie.  Già la mattina Denys Prokopenko, sempre del reggimento Azov,  aveva  detto che i russi stavano sganciando bombe antibunker e i separatisti di Donetsk avevano annunciato un’operazione per stanare gli uomini asserragliati. 


Nella base, che  è una rete di tunnel sotterranea grande diecimila chilometri quadrati, ci sono circa duemila  combattenti, e  tra i mille e i duemila civili: donne, bambini e anziani che sono soprattutto familiari dei soldati. Nel messaggio i russi scrivono: “Basta con questa resistenza insensata”. Sono frustrati e nervosi perché Mariupol li ha tenuti impegnati troppo a lungo sottraendo risorse all’offensiva del Donbas e rallentando il ricongiungimento tra i battaglioni nell’est e nel sud dell’Ucraina. A Mariupol stanno vincendo i russi ma hanno già perso moltissimi uomini da quando le truppe sono entrate in città, e non possono permettersi che la carneficina continui. Oggi un drone ha filmato i combattimenti in strada nel distretto di Levoberezhny (dove c’è l’acciaieria Azovstal) e si vede un’operazione degli uomini di Azov che con delle granate eliminano soldati russi che si muovono a piedi e su mezzi civili.

 

Un consigliere del sindaco, Petro Andryushenko, ha spiegato che i russi avevano già fatto una proposta di accordo il 17 aprile ma non erano stati chiari sui “corridoi sicuri” e quell’ultimatum  era sembrato una trappola. Non si sono fidati perché in Donbas sono abituati a questo genere di bugie. Durante gli otto anni di guerra  i cecchini russi sono diventati famosi per una pratica: sparare a un soldato, concordare un cessate il fuoco insieme alla missione europea di monitoraggio per permettere i soccorsi, aspettare gli altri soldati che vanno a prendere l’uomo a terra e ammazzarli. Ci sono stati molti casi del genere e il più famoso riguarda  l’eroe nazionale Yaroslav Zhuravel. Era un comandante delle forze speciali e  anni prima aveva portato le prove della presenza di militari russi tra i separatisti, ne aveva fatti prigionieri quattro e le sue incursioni in territorio nemico sono finite nei manuali di addestramento dell’intelligence britannica. E’ stato colpito durante un cessate il fuoco concordato, la sua agonia è durata tre giorni ed è stata interamente ripresa da un drone: nessuno è potuto andare a salvarlo perché ormai era chiara la trappola.