Toh, America is back e il merito è di Biden. Senza di lui gli alleati si sarebbero smarriti

Giuliano Ferrara

Senza questi Stati Uniti saremmo magari non in ginocchio, ma meno assertivi, forti e disponibili non a un’avventura ma a censurare e combattere la peggiore avventura di guerra dal 1945 a oggi

Sei anni fa l’America era entrata in una febbre demenziale, mascherata da isolazionismo, protezionismo, populismo, dispotismo della demagogia, e a un generico spirito anticinese, buono per sfide commerciali più o meno autentiche, si combinava un losco filoputinismo travestito da incremento di spesa del Pentagono. Dominava il disprezzo per l’Europa occidentale, per la Nato, per i debosciati di Francia e Germania, l’America First cominciava con il rovesciamento a vantaggio di Mosca dell’atlantismo, con gli attacchi alla libertà di stampa, le posture grottesche dell’uomo solo al comando con la sua famigliola di adepti e parenti. Putin contava su un secondo mandato di Trump per liberarsi, non solo con il gas, che è insieme dipendenza e interdipendenza, dei vicini forti e liberi, e per assoggettare meglio alla sua logica quelli deboli confinanti con l’impero dei suoi incubi autocratici. E’ finita con un mezzo colpo di stato popolare, un assalto cornuto e trinariciuto, con morti e feriti, al tempio della democrazia americana da due secoli, a Washington. 


Trump per ora l’ha scampata, sebbene sloggiato dalla Casa Bianca e  riconsegnato alla sua villa di Mar-a-Lago. Le democrazie sono a volte senza spada, non sanno difendersi dalle dittature demagogiche, operano in modi lineari come stati di diritto esposti al torto, al legno storto. Però questo politicante di lungo corso, Joe Biden, dopo aver dato l’impressione, sopra tutto a Putin, di essere indipendente da lui e dai suoi ricatti, ma estremamente debole, come a Kabul, ha recuperato in fretta. Stretto dai guai dell’inflazione e della crisi acuta di credibilità delle élite in patria, l’establishment democratico ha reagito all’invasione dell’Ucraina, che scongiurava il peggio ma evidentemente si era preparata a fronteggiarlo con l’aiuto di un occidente che sembrava ma non era scomparso, con una grinta inaudita.

America is back, possono dire che America is Great Again.

Costruire una coalizione così forte e fino a ora non univoca ma convergente sull’essenziale, guidarla con le idee, le intelligence, i quattrini e le tecnologie, mobilitare il privato e il finanziario in una misura inverosimile dati i danni economici delle sanzioni di qua e di là, tutto questo dice che esiste ancora una base per la ricostruzione di una logica da grande paese a vocazione internazionale e mondialista. Diciamolo chiaro, senza questa America saremmo non dico in ginocchio, ma meno assertivi, forti e disponibili non a un’avventura ma a censurare e combattere la peggiore avventura di guerra dal 1945 a oggi. Ne deriva ovviamente che il fronte interno americano diventa cruciale, che il riscatto dei repubblicani da una oscena sudditanza a un tycoon senza storia, senza memoria, senza cultura, senza alcun interesse al bene del pubblico e dello stato, è la cosa più urgente che ci sia, anche in vista delle elezioni di novembre. L’assedio economico e sociale perdura, ma la ristrutturazione indotta dal nuovo senso che acquista ora la globalizzazione dovrebbe aiutare a padroneggiare le ansie di rivincita, brutale e violenta nelle parole e negli atti come tutte le rivincite, guidata ancora oggi da quell’impostore che ci aveva rubato letteralmente l’America di ieri per sostituirla con un impasto di farneticazioni.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.