Il bottino di Mosca

Cosa vuol dire Putin quando dice che si riorganizza in Donbas

Paola Peduzzi

Il piano B del capo del Cremlino: raddoppiare il territorio che controlla. E noi ancora che diciamo “concessioni”

Quando Vladimir Putin dice che si concentrerà sul Donbas intende dire che vuole consolidare la sua presenza in questa regione orientale dell’Ucraina – è il bacino carbonifero attorno al fiume Donec, un affluente del Don – grande poco meno del Lazio che comprende le due oblast di Luhansk e Donetsk. Nella percezione internazionale il Donbas è già un territorio praticamente russo, perché è dal 2014 che sentiamo dire che è una regione filorussa che ha più legami e affinità con Mosca che con Kyiv e che è, senza aver fatto un referendum di annessione (non riconosciuto dalla comunità internazionale), una specie di Crimea. E’ la regione della “guerra a bassa intensità”, la guerra cioè che ignoriamo dal 2014 ma in cui sono morte 14 mila persone in otto anni. Tra il 2014 e il 2015 il conflitto qui è stato tutt’altro che debole e si è concluso con un terzo della regione, la parte più urbanizzata, occupata da due entità statali riconosciute soltanto dalla Russia, le autoproclamate repubbliche popolari. In questo terzo ci abitavano circa 6,5 milioni di ucraini: ora non ci sono dati a disposizione.

 

Gli accordi di Minsk negoziati  nello stesso periodo hanno ridotto l’avanzamento delle truppe da entrambe le parti e gli scontri diretti, ma su una frontiera lunga 420 chilometri nel bel mezzo del Donbas sono rimasti 75 mila soldati: è una zona densamente popolata che ha sempre vissuto dei proventi dell’industria pesante ma in questi anni la produzione si è molto ridotta, milioni di persone sono state costrette a trasferirsi e gli esperti dicono che è diventata un’area con un rapporto tra mine e chilometri quadrati tra i più alti del mondo. A partire dall’aprile del 2021, si sono moltiplicati i rifiuti da parte delle forze russe alle richieste degli osservatori dell’Osce di andare a vedere la linea del fronte e le aree contigue, quindi si è perso del tutto il controllo di quel che stava accadendo. L’8 marzo scorso  il personale dell’Osce è stato evacuato e la produzione di report, già molto frammentata, è stata sospesa.  Quando Putin dice che si concentrerà sul Donbas intende dire che vuole conquistare entrambe le regioni, e gli mancano ancora due terzi di territorio: secondo le dichiarazioni russe, dopo un mese dall’invasione dell’Ucraina, le forze russe controllano il 93 per cento di Luhansk e il 54 per cento di Donetsk. 

 

Il piano B del Cremlino è ridimensionato rispetto all’idea originaria di ingoiare l’Ucraina in pochi giorni e rovesciare il governo di Kyiv. L’obiettivo del “consolidamento” è comunque una buona porzione di territorio ucraino che finirebbe in mano ai russi, cui si dovrà aggiungere Mariupol, che sta al confine sud dell’oblast di Donetsk (era l’obiettivo del 2014), che resiste ancora ma che è sotto assedio da settimane,  e quindi tutto il collegamento a sud. L’offensiva si muove anche da nord, sulla direzione Kharkiv-Izyum, una città di quarantamila abitanti caduta in mano ai russi: ieri circolavano alcuni video girati nelle strade devastate dagli attacchi. Gli abitanti che si aggirano tra le macerie hanno al braccio la fascia bianca dell’identificazione, la stessa che avevano i cittadini massacrati a Bucha. I resoconti di chi è riuscito a scappare sono tragicamente uguali a quelli che abbiamo sentito nelle altre città prese e poi lasciate dai russi: liste di cittadini “pericolosi”, esecuzioni, violenze, saccheggi. Solo che da Izyum i russi non se ne sono andati, anzi è una base strategica per costringere alla resa città e villaggi che la separano dalla linea del fronte del 2014, i due terzi del Donbas.

 

In senso relativo, il piano B è una sconfitta per Putin, ma in termini assoluti il presidente russo potrà dire, se l’offensiva nel Donbas va come l’ha pianificata, di aver vinto in Ucraina, e non avrà tutti i torti: se invadi un paese straniero senza ragione se non quella di volerlo sottomettere, ogni metro di territorio che porti a casa sarà un successo, e poco importa se ne volevi conquistare di più. E’ il motivo per cui il precedente del 2014 pesa così tanto: allora era stata violata l’integrità territoriale di un paese sovrano, ma quando il conflitto armato si è attenuato quella integrità non è stata restaurata. La Crimea annessa ha fatto da base strategica per questa invasione, mentre il Donbas è diventato, nei calcoli occidentali per un negoziato collassato, il cuore delle cosiddette concessioni territoriali cui l’Ucraina dovrà piegarsi, come se fosse di fatto già perso. Nei calcoli di Putin è la ragione per cui potrà dire: ho vinto.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi