Rodrigo Chaves (foto AP Photo/Carlos Gonzalez) 

Chi è Rodrigo Chaves, il controverso economista che sarà presidente del Costa Rica

Maurizio Stefanini

Si conferma che il trend latino-americano non è una ondata a sinistra, ma la vittoria di chi è all'opposizione. Ex funzionario della Banca Mondiale, 61 anni, Chaves è bollato dai suoi oppositori come populista, attacca la corruzione di cui incolpa i governi precedenti e promette profonde riforme attraverso il referendum

Il suo profilo professionale potrebbe evocare Draghi, eccetto le tappe finali di governatore di Bankitalia e presidente della Bce: dottorato in economia presso la Ohio University e borsa di studio a Harvard per studiare i problemi della povertà in Asia. Il 61enne Rodrigo Alberto de Jesús Chaves Robles, eletto a sorpresa presidente del Costa Rica con il 52,85 per cento dei voti al ballottaggio di domenica, per quasi 30 anni ha lavorato per la Banca Mondiale, fino a diventare direttore del suo ufficio in Indonesia. Nell’ottobre 2019 lo avevano anzi nominato ministro delle Finanze, ma nel clima incandescente della pandemia ha litigato col presidente dopo sei mesi.

  

A quel punto, ha fatto irruzione in politica con uno stile che potrebbe evocare il grillismo. Un assoluto outsider, che ha molto sparato contro i partiti tradizionali e la corruzione, con attacchi personali e un linguaggio volgare in stridente contraddizione alla sua formazione, ma evidentemente molto apprezzato dalla gente. “Non date le chiavi agli stessi di sempre”, un suo slogan. “Me como la bronca” un altro, quasi intraducibile: più o meno una promessa a elettori ormai talmente poveri da ritenere che gli è rimasta solo la rabbia da mangiare, di seguire la loro stessa dieta. “Rimettiamo in ordine casa”, un altro ancora. Né è mancato un “Rendiamo di nuovo il Costa Rica il paese più felice del mondo”, di netto sapore trumpiano.

    

Molto grillini anche i suoi attacchi ai giornalisti, definiti “mascalzoni” e “bugiardi” per aver dato risalto ad accuse contro di lui: una di molestie sessuali a dipendenti della Banca Mondiale che gli sono valse anche sanzioni interne, ma che lui rubrica al livello di “battute”; un’altra per essersi finanziato la campagna elettorale con un fondo privato, in contrasto con la legge che invece esigerebbe di usare solo conti in banca. Nel complesso però il suo è soprattutto un programma di sapore thatcheriano. Per rilanciare l’economia ha promesso meno tasse, meno burocrazia, meno spesa pubblica e anche meno monopoli di stato. È anche favorevole a referendum su temi come eutanasia, marijuana legale e aborto, a prescindere dal fatto che personalmente si dichiara a favore della marijuana legale e contro l’aborto. Però, si proclama socialdemocratico.

    

Insomma, un personaggio difficile da classificare e di cui è pure difficile prevedere come andrà a finire. Sicuramente diverso da un astro nascente della sinistra latino-americana come il da poco insediato presidente cileno Gabriel Boric; sicuramente estraneo al pedigree militare di un populista di destra come il presidente brasiliano Jair Bolsonaro; potrebbe forse evocare un altro outsider ideologico come il salvadoregno Nayib Bukele. Salvo che non è un Millennial, come Bukele o Boric, ed è invece come generazione un Boomer. Quel che è sicuro è che smentisce quella immagine superficiale di una America Latina che va a sinistra, che da un po’ circola sui media. Conferma piuttosto l’altro scenario di una America Latina dove perde chi è al governo e vince chi è all’opposizione.

    

Al governo, infatti in Costa Rica era proprio la sinistra, col Partido Acción Ciudadana (Pac) del presidente uscente Carlos Alvarado Quesada. Ma il suo candidato Welmer Ramos González, economista ed ex-ministro del Commercio, è arrivato ad appena lo 0,66 per cento, e il Pac è addirittura spartito dall’Assemblea Legislativa. Vero che in un quadro di grande frammentazione, 25 candidati presidenziali e 36 liste, al ballottaggio erano andate variazioni sul tema. Il Pac era nato infatti da una scissione dallo storico Partido Liberación Nacional (Pln) contro quella che era considerata la sua involuzione dalla socialdemocrazia al neoliberalismo. E al secondo turno con il 27,28 per cento era andato per il Pln José María Figueres Olsen, figlio dello storico caudillo fondatore del partito e vincitore della guerra civile del 1948, già presidente tra 1994 e 1998.

  

Era stata già una sorpresa il secondo posto di Chaves, col 16,78 per cento. Come ricordato, dopo essere stato per sei mesi ministro in un governo del Pac aveva litigato col presidente e si era messo in proprio con un suo Partido Progreso Social Democrático (Psd), e che ora per la prima volta entra in Assemblea. Aveva superato due favoriti come Fabricio Alvarado, cantante di canzoni religiose e leader di un partito evangelico, arrivato a sorpresa al ballottaggio quattro anni fa (14,88 per cento); e Lineth Saborío Chaverri, già vicepresidente tra 2002 e 2006 con l’altro partito storico Unidad Social Cristiana (12,4 per cento). Quest’ultima, anzi, era stata sopravanzata per 21 voti anche dal liberale Eliécer Feinzaig Mintz, mentre il candidato di estrema sinistra José María Villalta aveva avuto l’8,73.

  

Insomma, sembrava che Chaves avesse già fatto il suo massimo. Invece è riuscito ad accumulare altro consenso, fino a vincere. Segnale comunque di una situazione economica che magari non è grave se considerata nel quadro regionale, ma come tale è percepita, nel paese soprannominato “la Svizzera dell’America Latina”.

 

In comune con Boric, Bolsonaro e la gran parte dei presidenti della regione è di essere alle prese con un parlamento frammentato. Su 57 deputati il suo partito ne ha appena 10 contro 19 del Pln, 9 socialcristiani, 7 del partito evangelico, 6 liberali e 6 dell’estrema sinistra. Con gli evangelici di Alvarado aveva già concluso un appoggio per il ballottaggio, in cambio di un suo impegno a combattere "l’ideologia gender". Adesso cerca di far dimenticare i suoi attacchi, e si rivolge a tutti. “Questo non è il momento di festeggiare, ma piuttosto è una sfida enorme”, ha detto nel suo discorso di vittoria. “Mando il mio apprezzamento al Signor José María Figueres e a tutte le persone che lo hanno votato”. E gli chiede di collaborare. Si è pure rivolto al 42 per cento di non votanti. “L’astensionismo è oggi il primo partito del Costa Rica”, ha riconosciuto.