Recep Tayyip Erdogan e Vladimir Putin (LaPresse)

La neutralità per Erdogan non è sostenibile ancora a lungo. Spinge per la pace e teme Putin

Mariano Giustino

La Turchia si sta prodigando per facilitare il negoziato tra Ucraina e Russia. Se il conflitto dovesse estendersi Ankara dovrebbe schierarsi con la Nato, alienandosi i favori del Cremlino: una prospettiva che il presidente turco non può permettersi in vista delle elezioni del 2023

Il presidente Recep Tayyip Erdogan e il ministro degli Esteri Mevlüt Çavusoglu si stanno prodigando per facilitare il negoziato tra Ucraina e Russia perché sanno che per la Turchia la neutralità potrebbe non essere sostenibile nel lungo termine. Se il conflitto si dovesse estendere, Ankara dovrebbe schierarsi con la Nato  e Erdogan non può permettersi di alienarsi i favori della Russia: il Cremlino può fare molto per minare le sue prospettive di rielezione nel 2023.  

Putin rischia di trovarsi impantanato in una guerra che pensava di risolvere in breve tempo e ora il suo amico Erdogan può aiutarlo  nella ricerca di una via d’uscita. “Non stiamo assumendo un ruolo di semplici mediatori”, ha tenuto a precisare alle delegazioni di Russia e Ucraina il presidente turco. “Vogliamo essere i facilitatori di una pace giusta, perché prolungare il conflitto non è nell’interesse di nessuno”. La crisi ucraina sta portando la Turchia alla ribalta della scena diplomatica internazionale, Mosca sostiene molto la mediazione turca anche perché lavora per  tenere separata Ankara dall’occidente e quindi la partnership di un grande paese come la Turchia è diventata ancora più importante di quanto non lo fosse già in altri contesti. Ankara è contenta del ruolo internazionale che le è stato affidato e  insiste nei colloqui con entrambi i paesi ferma nella sua “politica di equilibrio”.

 

“Siamo contrari sia all’invasione sia alle sanzioni”, tiene a precisare il leader turco. Sia Kyiv sia  Mosca hanno investito ufficialmente Ankara del ruolo di mediatore-facilitatore. Lo hanno chiesto espressamente e il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, vuole la Turchia tra i paesi garanti. Per Mosca, Ankara è più manipolabile di altri paesi a causa della loro stretta interdipendenza e degli intrecci in vari settori economici, commerciali e militari. Mosca è un partner chiave per Ankara che è sempre stato attento a non pestarle troppo i piedi. In questa crisi ha preferito stare in disparte  perché dipende  dalla Russia  per il 40 per cento del suo fabbisogno di gas naturale e per il 70 del suo fabbisogno di grano. Inoltre la Russia è prima al mondo per presenza di turisti in Turchia e ciò costituisce una preziosa entrata per l’industria turistica del paese.

 

Mosca e Ankara condividono molto più di quanto sembri. Le due potenze vogliono scuotere l’ordine mondiale post sovietico, ciascuna disdegna le norme liberali ed entrambe vogliono assumere un ruolo più importante sulla scena mondiale. Potremmo definire la loro relazione come una “cooperazione competitiva”: sostengono parti opposte nei conflitti in Libia, Siria e Caucaso meridionale, ma lo fanno in un modo da riconoscere, e dunque da rispettare, la reciproca sfera di influenza in espansione. 

 

Il punto più critico è la Siria, dove il controllo della Turchia sulle aree occupate dipende infatti dal consenso di Mosca. La Russia controlla  lo spazio aereo e nel paese ha molto peso:  è soprattutto per volere del Cremlino che regge ancora il fragile cessate il fuoco nel nord della Siria tra opposizione siriana, regime, turchi e curdi-siriani. A Idlib, diversi milioni di siriani vivono in un rifugio gestito dall’opposizione sostenuta dalla Turchia. Questa parte del paese è vulnerabile a un’offensiva del regime e se la Russia dovesse approvarla almeno due milioni di siriani premerebbero sul confine turco e una nuova ondata di profughi, in un paese che già ne ospita oltre quattro milioni, sarebbe devastante per l’economia e il regime del presidente che vuole essere rieletto.
 

Di più su questi argomenti: