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Decrescita cinese

L'asse tra Cina e Russia ha un problema: l'economia di Pechino

Giorgio Arfaras

Ci sono quattro nodi dello sviluppo cinese da sciogliere: c'è bisogno di un nuovo traino per la crescita, ma le soluzioni scarseggiano, anche sul mercato interno

Fosse mai che i cinesi trovassero un modo per allearsi con i russi, avremmo l’“asse delle autocrazie”, un blocco che si contrapporrebbe ai paesi affacciati sull’Atlantico del nord e ai loro alleati in Asia e Oceania. L’asse delle autocrazie unirebbe una potenza centrata sulle materie prime, la Russia, con una industriale, la Cina, dando luogo ad una forza in grado di competere con l’“Ordine liberale”. Avremmo un asse “revisionista” degli assetti di potere che potrebbe agire da catalizzatore dei paesi autocratici.

In campo economico il ragionamento sulla potenza della Cina, l’ovvia protagonista dell’asse delle autocrazie, si concentra sulla misura assoluta del suo pil e sul suo tasso di crescita atteso. La Cina emerge non solo per la sua dimensione economica, circa eguale a quella europea e nord americana, ma anche per la sua crescita che sembra inarrestabile. Da qui l’idea che la gran crescita cinese alimenterà senza sosta la potenza dell’asse delle autocrazie. L’economia è conosciuta come la “scienza triste”, perché trasforma la poesia in prosa. Di seguito tentiamo di trasformare in prosa la potenza economica cinese per vedere che cosa ne scaturisce.

In origine abbiamo avuto un mutamento impressionante. La Cina ha urbanizzato quasi mezzo miliardo di contadini che sono andati a lavorare in fabbrica e nei servizi. La Cina ha potuto importare le tecnologie per occupare in attività sofisticate una parte non modesta della manodopera. In Cina si sono costruite dal nulla non solo delle città intere, ma anche le infrastrutture che le collegano, oltre alle fabbriche. I salari degli inurbati, già inferiori alla loro produttività, erano inizialmente molto bassi. Eppure non potevano, per quanto modesti fossero, essere spesi in misura significativa per l’assenza di uno stato sociale e/o di un sistema assicurativo diffuso. Di conseguenza i cinesi non potevano che risparmiare molto per poter accedere a un qualche servizio sanitario e ad accumulare una qualche pensione.

In Cina il risparmio ha fatto la parte del leone. Con il consumo molto modesto in rapporto al reddito nazionale, quindi come percentuale, perché in termini assoluti grazie allo sviluppo economico è cresciuto molto, il risparmio molto elevato che ne conseguiva è finito in parte maggiore negli immobili, nelle infrastrutture, nel capitale industriale, e, in parte minore, nelle esportazioni. Con gli investimenti e le esportazioni che sono diventati quasi la metà del pil. Abbiamo così avuto una crescita ipertrofica in molti settori e un minor benessere rispetto a quello che si sarebbe potuto avere in presenza di una maggiore tutela della maggioranza della popolazione.

Abbiamo quattro nodi dello sviluppo cinese da sciogliere: il futuro del settore immobiliare e delle infrastrutture; lo sviluppo di quello tecnologico; lo sviluppo delle esportazioni; e la dinamica demografica. Questi non sono problemi che si hanno solo in Cina. Il settore immobiliare si gonfia e sgonfia in tutte le economie. Lo sviluppo del settore tecnologico con i problemi che risolve e quelli che crea è fenomeno condiviso da tutti i paesi sviluppati. La crescita trainata dalla esportazioni piace a tutti, ma non tutti  possono averla nello stesso tempo. La dinamica demografica, infine, mostra lo stesso andamento in tutti i paesi sviluppati. Questi nodi comuni hanno, com’è ovvio, delle caratteristiche particolari in ogni paese.

Il settore immobiliare cinese ha costruito nel tempo molte più abitazioni di quelle che sono state poi effettivamente domandate, in acquisto o in affitto. Avendo costruito con la leva del debito verso le banche e con le obbligazioni, e non avendo venduto e/o affittato quanto costruito nella misura necessaria, le imprese del settore si sono trovate in grande difficoltà a onorare i debiti. Questa grande corsa a costruire aveva un incentivo. Un terzo delle entrate delle amministrazioni locali cinesi dipende dalla concessione di permessi di costruzione. Se l’erogazione di concessioni è frenata dalla crisi del settore immobiliare, le autorità locali o rinunciano a fornire parte dei servizi, oppure devono alzare le imposte.

Per uscire dalla crisi del settore immobiliare la Cina può seguire l’opzione liberale oppure quella illiberale. La prima vuole la pulizia dei crediti inesigibili e dei tribunali indipendenti. La seconda può portare stabilità finanziaria se il debito eccessivo è visto come un rischio per la sicurezza del sistema. Si possono così frenare gli imprenditori immobiliari che vogliono ancora crescere con i debiti. Intanto che gli imprenditori sono imbavagliati, i cattivi crediti possono venire distribuiti nel sistema: le banche maggiori sono statali, allo scopo di attenuare le ripercussioni negative.

La scelta dell’opzione illiberale è la più probabile. Il settore immobiliare non sarà più un grande traino dell’economia, e perché ha ormai esaurito la spinta propulsiva e perché è stato salvato, ma, proprio per questo, imbavagliato. Lo stesso dovrebbe valere per quello delle infrastrutture. Se così fosse, e sembra che sia proprio così, la grande crescita cinese si fermerebbe. Il passo in avanti della crescita si potrebbe avere solo con lo sviluppo del settore tecnologico, con la costruzione di uno stato sociale che spinga il livello dei consumi, e con le esportazioni.

Il settore tecnologico cinese quotato – il cui indice è il Golden Dragons, dall’inizio della pandemia e dopo appena un anno, quindi gennaio 2020 fino a gennaio 2021 – aveva raddoppiato il proprio livello. Era cresciuto più del Nasdaq. All’epoca si pensava che la pandemia avrebbe cambiato il modo di vivere fra l’uso intensivo della rete e il lavoro da casa. Una previsione rivelatosi in parte giusta. Poi improvvisa e violenta arriva la caduta del Golden Dragons che in un anno si dimezza.

Si hanno due interpretazioni della caduta. Si intende come direzione della stessa, non come intensità che dipende da altri fattori. Quella benevola, di sapore liberale, sostiene che le autorità cinesi hanno osato quel che non è riuscito fra le due rive dell’Atlantico del nord. Comprimere il grado di oligopolio dei grandi operatori della tecnologia con lo scopo di ridurne la rendita. La rendita va intesa come il reddito che si forma in assenza di concorrenza. Cadendo la rendita attesa degli oligopolisti è caduto anche il  prezzo delle loro azioni. Quella malevola, di sapore autocratico, sostiene che le autorità cinesi si sono preoccupate del potere economico crescente degli imprenditori della tecnologia. Un potere che da economico avrebbe potuto mutarsi in potere politico. E li hanno colpiti. Così si spiega la caduta del prezzo delle azioni, che, in questo caso, è legata all’interferenza dello Stato nel settore. Una vicenda simile a quella dell’oligarca Mikhail Khondorkovsky, che, non molto dopo l’arrivo di Vladimir Putin, fu messo in galera per evasione fiscale, quando la ragione era il timore che entrasse in politica finanziando chi era allora lontano dal potere.

Abbiamo prima sostenuto che il ritorno della gran crescita in Cina si potrebbe avere con lo sviluppo del settore tecnologico e con la costruzione di uno stato sociale che spinga il livello dei consumi, oltre che con le esportazioni. Del settore tecnologico abbiamo cercato di mostrare i vincoli al suo pieno sviluppo. Resta la rete di sicurezza che, sostenendo il benessere della massa dei cittadini con delle prestazioni pubbliche finanziate con le imposte, incentivi i consumi. E’ ragionevole aspettarsi che questa redistribuzione del reddito troverebbe degli ostacoli nei settori che attualmente controllano l’economia, il governo e le imprese.

Se non è la tecnologia, e neppure lo stato sociale, allora il prossimo motore della crescita cinese potrebbero essere le esportazioni, la cui quota sul pil andrebbe accresciuta. Qui ci si imbatte nel processo politico ed economico che vede sia la Cina sia gli Stati Uniti che cercano di ridurre la dipendenza reciproca. Con l’Europa che cerca di ridurre, oltre alla forte dipendenza dalle catene di valore globali, anche la dipendenza energetica dalla Russia. Le autocrazie per contro cercheranno di ridurre la loro dipendenza dalle valute occidentali e dai suoi mercati finanziari. Quanto accaduto alla Russia dopo l’invasione dell’Ucraina con l’esclusione dal sistema informativo in finanza, con il congelamento dei beni della banca centrale e dei pretoriani, dovrebbe agire da monito per le autocrazie in caso di contenzioso. Insomma, la ripresa in grande spolvero delle esportazioni non sembra un’opzione valida.

La demografia cinese ha la stessa dinamica di quella degli altri paesi sviluppati. Nascono meno figli per donna. Aumenta l’età media, perché i nati sono meno numerosi, mentre si vive di più grazie al benessere e ai progressi della medicina. Man mano che aumenta la quota di anziani si hanno dei maggiori carichi pensionistici e sanitari per i meno anziani. Nel caso cinese, il carico sulla singola famiglia è maggiore di quel che si avrebbe in presenza di un sistema di protezione universale. L’aspetto propriamente cinese della dinamica demografica è l’impatto a lungo termine della politica del “figlio unico”. Alla nascita si preferivano i maschi. Alla lunga si ha un eccesso di uomini rispetto alle donne.

In conclusione, la gran crescita cinese potrebbe riprendere se trainata non più dagli investimenti e dalle esportazioni, ma dai consumi, dai nuovi settori dinamici, e da una ripresa delle esportazioni. Il traino dei consumi ha però bisogno di uno stato sociale e di un sistema assicurativo diffuso. Il traino della tecnologia ha però bisogno della certezza del diritto di proprietà. La ripresa delle esportazione è improbabile in un mondo che vede ridursi il grado di globalizzazione. Insomma, il ritorno della gran crescita cinese non sembra all’orizzonte.


 

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