Dialogare con Mosca

Zelensky parla con i giornalisti russi di negoziati e referendum

Micol Flammini

Alla stampa russa il presidente ucraino dice che i colloqui si svolgono su più livelli e non nega l’aiuto di Abramovich. Una domanda arriva anche dalla Novaya Gazeta, che non fa uscire l'articolo e poi annuncia la sospensione delle pubblicazioni

Volodymyr Zelensky ha concesso una lunga intervista alla stampa russa. Erano presenti il sito Meduza, il quotidiano Kommersant, l’emittente Dozhd e il giornalista Mikhail Zygar, freelance che ha posto una domanda anche per conto del premio Nobel per la Pace Dmitri Muratov, direttore di Novaya Gazeta. Il risultato è stato che Kommersant e Novaya Gazeta, tutti e due operanti in Russia, non hanno pubblicato le dichiarazioni di Zelensky. Gli altri giornalisti che ormai vivono all’estero invece sì. Poche ore dopo, Muratov annunciava la sospensione delle pubblicazioni di Novaya Gazeta in Russia e il messaggio è stato forte: la censura soffoca tutto. In questi ultimi anni il giornale di Muratov era riuscito a conservare un equilibrismo che l’opposizione russa più incendiaria giudicava come connivenza con il regime di Vladimir Putin. Novaya Gazeta era stata  capace, anche sulla guerra, di aggirare le regole per continuare a dire quello che riteneva giusto. Non è più possibile e Zelensky, che con questa intervista sperava anche di mandare un messaggio ai russi e a Putin, ha visto la potenza del suo messaggio mediaticamente ridotta. Ai russi ha detto di credere nella verità se proprio non vogliono credere nell’Ucraina e di pensare che un presidente deve costruire per il suo popolo. Cosa sta costruendo ora Putin per loro? Forse un monumento a se stesso e devastazioni per gli altri, ucraini e russi.  A Putin invece ha parlato di negoziati.  Zelensky ha detto che l’Ucraina vuole dialogare e non sa più come dirlo. 

 

Zelensky vuole parlare con Putin, ma il presidente russo continua a declinare l’invito, cercando di far passare il messaggio che la guerra va avanti perché Zelensky non si arrende e fa lo schizzinoso. Sul campo la verità è che la guerra per la Russia non sta andando secondo i piani e in alcune aree l’Ucraina tenta con successo una controffensiva. Zelensky non è il presidente di una nazione sconfitta, quindi non ha motivo di cedere su tutto. Eppure su qualcosa sta cedendo pur di mettere fine alla guerra. Ai giornalisti russi ha ripetuto che due punti sono vaghi e inaccettabili: “denazificazione e demilitarizzazione”. La prima non  sa cosa voglia dire, la seconda non è praticabile. Invece l’Ucraina è pronta a parlare di neutralità, ma vuole in cambio delle rassicurazioni che non siano carta straccia come il memorandum di Budapest, secondo il quale la Russia si sarebbe dovuta occupare della sicurezza di Kyiv. Poi c’è la questione della lingua russa, alla quale,  secondo Zelensky, Putin  ha fatto “ un danno irreparabile”.  

 

I negoziati, ammette Zelensky, vanno avanti su vari livelli. E prevedono anche il coinvolgimento di persone inaspettate. Zelensky non cita l’oligarca Abramovich, ma non nega il suo coinvolgimento nella mediazione  – secondo il Wall Street Journal l’oligarca avrebbe subìto un tentativo di avvelenamento assieme ad altri delegati ucraini durante i colloqui, ma Kyiv ha smentito. Dice il presidente  che molti russi hanno promesso di aiutare l’Ucraina nella ricostruzione che sarà necessaria dopo la guerra e molti miliardari ora sanzionati hanno interesse a fare in modo che la guerra finisca in fretta, quindi mediano. 

 

Zelensky dice che non prenderà decisioni senza coinvolgere gli ucraini, che i risultati dei negoziati saranno sottoposti a un referendum popolare. I giornalisti russi gli domandano: cosa succede se gli ucraini dovessero votare contro le sue decisioni – e non è da escludere che gli ucraini votino contro la neutralità. Il presidente ucraino risponde che prima di fare un referendum, affinché sia valido, la Russia deve lasciare il territorio ucraino. Quasi a dire: ora la mia priorità è un’altra, ai risvolti politici di un referendum, ci penserò a guerra finita.

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.