Vladimir Putin (LaPresse)

"Lo stato maschile"

Così l'alt right russa organizza in rete la purificazione che vuole Putin

Pietro Minto

Mercoledì il presidente ha attaccato in un discorso, oltre a Nato e occidente, anche gli oligarchi e chi “non può fare a meno di ostriche e foie gras”, i "traditori". Ma su Internet la caccia all'uomo evocata dal Cremlino esiste già, ad opera di estremisti neonazisti

Per chi frequenta “Male State”, l’idea della purificazione dei popoli di cui parla il presidente russo, Vladimir Putin, non suona affatto nuova. Anzi, nel discorso di mercoledì – in cui Putin ha attaccato tutti: l’occidente, la Nato ma anche gli oligarchi e chi “non può fare a meno di ostriche e foie gras” – i membri del Male State avranno  apprezzato i riferimenti ai “traditori” e all’esigenza di una “pulizia”. Putin sembra sempre di più un membro onorario di questo gruppo di estremisti e troll d’estrema destra che da anni rappresentano la parte più violenta e radicale della politica russa.
 

Visto da qui, il Male State sembra adottare lo stile, la lingua e le tecniche dei movimenti della alt right statunitense, la nube di gruppi di troll, neonazisti e suprematisti bianchi che a suo tempo si addensò attorno a Donald Trump. I temi cari agli uni lo sono anche agli altri: guerra ai temi legati ai movimenti lgbtq e alle donne, al diritto all’aborto, il richiamo a una purezza antica, un passato idealizzato a cui tendere sempre.

Lo scorso ottobre, prima di diventare tra i più accesi sostenitori dell’invasione russa dell’Ucraina, Muzhskoye gosudarstvo (nome originale del gruppo, traducibile appunto con “stato maschile”), era stato bandito da un tribunale russo in quanto gruppo estremista. Tra i crimini che portarono alla decisione c’erano le campagne di minaccia e molestie nei confronti di, cogliendo fior da fiore, donne russe sposate a uomini stranieri, una catena di sushi a domicilio che aveva lanciato una campagna pubblicitaria con un modello di colore, oltre che molti gruppi femministi e il collettivo punk Pussy Riot. 

Lo stato dei diritti civili in Russia è scandaloso e preoccupante, eppure per quelli che sognano uno Stato Maschile, è già troppo: la china è pericolosa, occidentale, depravata; l’uomo va difeso. Paranoie che riverberano, ancora una volta, nella retorica bellica di Putin, che ha cercato di vendere l’“operazione speciale” in Ucraina come una crociata anti gay per la difesa dei valori tradizionali.

 

La messa al bando del movimento seguì di solo un mese l’arresto del fondatore dello Stato Maschile, Vladislav Pozdnyakov, muscolosissima icona dell’alt right russa che aveva di fatto organizzato la crociata contro il sushi sponsorizzato da una persona di colore. Anche per quanto riguarda Pozdnyakov, il parallelismo con gli altri estremismi, soprattutto statunitensi, abbondano: l’ossessione per la virilità, il ruolo della donna, il futuro del maschio in tempi effeminati e “deviati”. Tutto torna, tutto si lega, creando un ponte valoriale ben saldo, in cui l’unico ostacolo tra questi, un Boogaloo o un Milo Yiannopoulos (ve lo ricordate, Milo?) è la lingua, appunto.

Se il coacervo di movimenti, ossessioni e paranoie della “nuova” estrema destra occidentale ha creato QAnon, teoria cospiratoria ormai globale, con franchise in mezzo mondo, non è detto cosa potrebbe succedere a quello di Pozdnyakov. Per ora, pare, lo Stato Maschile si accontenta di appoggiare Putin, che in questo momento ha bisogno di un esercito di volontari sul fronte interno – e digitale – per vendere questa guerra, caratterizzandola come un conflitto culturale. Una spedizione per salvare la Russia, i suoi valori, dalle tentazioni arcobaleno occidentali.

Più che QAnon, però, questo gruppo di estremisti ricorda il movimento da cui tutta l’alt right – e buona parte del dibattito politico di destra odierno – è cominciato: il Gamergate. Gamergate è un termine con cui si indica uno scontro perlopiù digitale avvenuto nel 2014, fatto di minacce e molestie ai danni di sviluppatrici di videogiochi organizzate da un manipolo di “gamer”, che le accusava di aver avuto relazioni con giornalisti in cambio di recensioni positive dei loro titoli. Accuse prontamente smontate, che solidificarono troll, antifemministi, incel e neonazi contro un nuovo nemico comune: le donne nel settore dei videogiochi. E, a seguire, le donne. E le persone gay, e i trans. Insomma, l’obiettivo del Gamergate, un fenomeno perlopiù statunitense, era lo stesso di quello di questi nuovi fascisti russi: la creazione di uno stato maschile. 
 

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