La no talk zone

Le intelligence alleate hanno distrutto la blitzkrieg di Putin e sono l'arma segreta di Kyiv

Daniele Raineri

La discretissima regia dei servizi segreti contro l’invasione russa che ha costretto Mosca a fare i conti con la realtà

C’è un momento che colpisce nella battaglia di Hostomel. La battaglia di Hostomel è quella che il 24 febbraio, primo giorno di guerra, ha fermato l’invasione dell’Ucraina e ha infranto i piani dei comandanti russi –  che erano convinti di poter conquistare la capitale Kyiv in due giorni. Prima di Hostomel c’era una “operazione speciale”, per dirla come il presidente russo Vladimir Putin, pensata come una blitzkrieg: la guerra lampo tedesca. Si arriva con un’azione fulminea dentro la capitale, si occupano i palazzi del potere, si arrestano i vertici ucraini e li si rimpiazza con un governo fantoccio. Questo era il piano e l’intelligence americana lo aveva condiviso con il pubblico. Dopo Hostomel la blitzkrieg non c’è più ed è stata sostituita da un conflitto del quale non si vede la fine ma si intuiscono già adesso i costi spaventosi. I russi sono stati costretti a fare i conti con la realtà e in questi giorni stanno scavando trincee per prepararsi alle prossime fasi. C’è un momento che colpisce, si diceva.

 

Alle dieci del mattino la 45esima brigata distaccata degli Spetsnaz, un’unità militare speciale delle  truppe aviotrasportate russe che negli anni scorsi operava anche nel Donbas con divise senza insegne per non farsi riconoscere, sbarca dagli elicotteri sulle piste di Hostomel, un piccolo aeroporto militare che però dispone di una pista molto lunga per eseguire test e per far decollare e atterrare un prodigioso aereo da trasporto ucraino che è il più grande al mondo. C’è una forza di reazione rapida ucraina di cinquanta uomini che resiste il più possibile e abbatte cinque elicotteri ma è costretta a lasciare l’area. A quel punto arriva un avviso dell’intelligence ucraina, secondo le ricostruzioni del media. Gli Spetsnaz russi con le fascette rosse al braccio per riconoscersi fra loro posizionati lungo il perimetro dell’aeroporto sono soltanto la testa di ponte che tiene sotto controllo  la pista per permettere l’atterraggio di diciotto aerei da trasporto Ilyushin Il-76 con altre truppe che devono dilagare verso la capitale – il centro dista venticinque chilometri e i russi contano sul fattore sorpresa. 

 

La forza di reazione rapida di cinquanta uomini è rimandata di corsa verso l’aeroporto, assieme a una colonna e a gruppi di civili armati. Devono tutti avvicinarsi il più possibile alla pista e sparare in modo che la zona sia troppo pericolosa per lo sbarco. E’ quello che succede, i giganteschi Ilyushin non atterrano e tornano indietro – quel giorno furono anche segnalati gli abbattimenti di due aerei da trasporto, senza conferme. Al ventesimo giorno di guerra però abbiamo imparato che l’intelligence americana e quella tedesca provvedono informazioni quasi in tempo reale agli ucraini – soltanto l’intervallo di tempo necessario a spogliare le informazioni che potrebbero rendere riconoscibile la fonte o il metodo usato per averle – e c’è da chiedersi quanta parte della resistenza efficiente all’invasione sia da attribuire a questa collaborazione con l’intelligence americana, che dispone di vasti sistemi di intercettazione e sorveglianza. E’ una congettura, perché ucraini, americani e tedeschi in questo momento non desiderano portare l’attenzione su questa collaborazione in particolare, ma ci sono elementi solidi. Eccone un altro. Il Rusi, Royal United Services Institute, il think tank militare più antico del Regno Unito, ha pubblicato una bella analisi sullo stato disastroso delle comunicazioni fra i soldati russi. A volte per mancanza del giusto equipaggiamento radio i soldati e le unità militari parlano fra loro su frequenze non criptate, con radio civili di produzione cinese oppure con i telefonini.

 

Succede anche – secondo il rapporto scritto dal Rusi – che gli ufficiali in comando preferiscano stare lontano dal fronte dell’invasione per evitare rischi e quindi i soldati usano i telefoni per spiegare loro cosa sta succedendo. Il risultato è una messe infinita di informazioni per chi è in ascolto ed è in grado di captare e sfruttare le conversazioni in tempo reale. Un articolo del Times di venerdì 11 marzo notava l’uso dei tre aerei spia britannici RiverJoint nei cieli ucraini, capaci di catturare le trasmissioni radio e le telefonate che avvengono a terra in un raggio non specificato di molti chilometri. E gli americani, scrive il giornale, fanno altrettanto ma su scala maggiore. Dell’equipaggio a bordo dei RiverJoint fanno parte anche traduttori, per capire in diretta cosa succede. E questa non è che una parte dello sforzo di sorveglianza. Il risultato non è dato saperlo. Ma c’è da notare che martedì 8 marzo un altro articolo dell’inglese Guardian raccontava la morte di un secondo generale russo, Vitaly Gerasimov del 41esimo corpo d’armata, colpito da un cecchino. Il 3 marzo il generale Andrei Sukhovetsky, il vice comandante del 41esimo corpo d’armata, è stato ucciso anch’egli da un cecchino. A un certo punto i russi devono avere chiesto ai comandanti di tornare in prima linea per disincagliare l’invasione in fase di stallo e i cecchini ucraini li hanno individuati. Tre giorni dopo è successo al generale russo Andrei Kolesnikov.

 

L’articolo del Guardian riporta anche le dichiarazioni trionfali dell’intelligence ucraina, che sostiene di avere le intercettazioni fra agenti dell’Fsb mandati sul campo – i servizi segreti russi – che dopo la morte del generale Sukhovetsky ammettono di non avere comunicazioni sicure in Ucraina. Sono state le spie americane a passare a quelle ucraine la posizione dei generali uccisi dai cecchini? E’ una cosa che non si può provare e non sarà mai detta in chiaro – o magari sarà confermata fra vent’anni in qualche libro che leggeranno in pochi. Ma da molte settimane prima dell’invasione si è capito che i servizi americani intercettavano le comunicazioni russe – le previsioni sull’invasione erano azzeccate – e c’è ogni ragione per ritenere che questo servizio stia continuando anche adesso a ritmo frenetico per dare agli ucraini un vantaggio minimo contro un nemico più forte. Mentre in pubblico si discute di una no fly zone, che però non è realizzabile perché potrebbe provocare una escalation nella guerra e allargarla al resto dell’Europa, i servizi di intelligence alleati hanno creato in pratica una no talk zone, una bolla nella quale i russi parlano a rischio di essere intercettati e ascoltati. In un conflitto, è una vulnerabilità molto pericolosa – anche se è difficile da quantificare e senz’altro è meno visibile e soddisfacente di una no fly zone.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)