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Affamare le città e colpire gli aiuti. Mosca bombarda lo sforzo umanitario

Paola Peduzzi

Indurre la resa delle città assediate è la strategia russa, non un effetto collaterale della guerra. Putin sfrutta una licenza concessa (da noi) in Siria

Il segretario di stato americano, Antony Blinken, in visita nei Paesi baltici questa settimana, ha paragonato l’assedio russo alle città ucraine a quello dei nazisti a Leningrado “che ridussero sistematicamente i cittadini alla fame e distrussero deliberatamente la città”. Blinken ha aggiunto: “Quell’assedio riguardò milioni di famiglie russe, compresa quella del presidente Putin, suo fratello di un anno perse la vita. Oggi la Russia sta riducendo alla fame le città ucraine, come Mariupol”. Forse Blinken covava l’illusione (ancora?) che il riferimento personale potesse suscitare qualche istinto umanitario in Vladimir Putin, ma affamare i cittadini, colpire i convogli umanitari e indurre la resa delle città assediate è la strategia russa, non un effetto collaterale della guerra. Nel 2014, l’Onu aprì quattro corridoi umanitari in Siria. 

 

Il paese guidato da Bashar el Assad era assistito nella sua “campagna di antiterrorismo” dagli aerei e dagli uomini di Putin. Il nord della Siria, dove c’erano le aree di resistenza al regime siriano, era sotto assedio dalle forze russo-siriane. Nel 2020, dei quattro corridoi umanitari ne erano rimasti due; nel luglio del 2021 uno soltanto. Non era cambiata l’urgenza dell’aiuto umanitario visto che l’economia siriana era al collasso, non c’era neppure meno violenza (era solo aumentata la distrazione internazionale), ma la Russia si era messa a esercitare il suo potere di veto all’Onu per chiudere, uno dopo l’altro, i corridoi umanitari per i cittadini siriani. I convogli che inizialmente fornivano le loro coordinate per garantirsi la protezione dagli eventuali attacchi aerei avevano smesso di farlo: era come avere un mirino puntato addosso. La Russia, sempre esercitando il suo potere all’Onu, aveva prima negato di aver mai colpito gli obiettivi inseriti nella lista dei punti umanitari, come gli ospedali da campo e non, poi aveva fatto togliere alcuni di questi dalla lista stessa, e infine aveva affossato l’inchiesta dell’Onu sui bombardamenti russi su ospedali e obiettivi protetti. La costruzione di questa strategia non è avvenuta in qualche stanza segreta, ma sotto gli occhi dell’intera comunità internazionale, un po’ incredula, un po’ indignata ma irrimediabilmente schiacciata dalla retorica dei russi e dei loro alleati: chi ci accusa è russofobo, è isterico, è patetico. Putin ha fondato e guidato la realtà parallela guardandoci in faccia: anche prima dell’invasione dell’Ucraina, quando gli americani denunciavano le manovre d’accerchiamento russe, Putin diceva che quelle informazioni erano pretestuosi atti di aggressività, e molti da noi dicevano che gli americani erano i soliti guerrafondai.

 

Oltre a concedere a Putin la licenza di intervenire ovunque volesse nel mondo (e con i suoi metodi), oltre a permettergli di intossicare il dibattito globale e di utilizzare armi chimiche sul territorio europeo (Salisbury) e contro i suoi avversari politici (Navalny), è stata eretta anche un’eccezione umanitaria valida solo per lui. Le morti causate dagli attacchi delle forze alleate occidentali sono sempre state più gravi di quelle causate dagli attacchi di Putin, e un ospedale colpito per sbaglio dagli americani nei vari terreni di guerra era comunque più scandaloso degli ospedali colpiti deliberatamente dai mezzi di Putin. In Ucraina, Putin sta adottando la stessa tecnica. Colpisce obiettivi civili (e ci dà di lamentosi patetici se lo diciamo), mette sotto assedio le città impedendo gli approvvigionamenti, aspetta  che la fame e la miseria costringano gli abitanti alla resa, promette corridoi umanitari ma considera ogni azione a protezione delle aree attraversate dai convogli (come il sorvolo degli aerei) un inammissibile atto di belligeranza contro la Russia. E poiché a differenza della Siria i confini qui sono condivisi, Putin offre corridoi umanitari che finiscono in territorio russo o bielorusso, beffa assoluta di un paese abituato all’eccezione umanitaria.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi