"Non siete soli"

Al confine freddo con la Romania si fa accoglienza agli ucraini e si sogna tutti l'Europa

Daniele Raineri

Una massa di fuggitivi e di volontari, tutti europei, tutti non ancora integrati nella dimensione formale e legale dell’Unione e tutti molto desiderosi di farne parte

Siret, dal nostro inviato. I civili ucraini in fuga dall’operazione “speciale” ordinata dal presidente russo Vladimir Putin quindici giorni fa quando arrivano al confine con la Romania devono aspettare il controllo del passaporto in un passaggio stretto, lungo duecento metri, chiuso tra due reti di metallo e piazzato all’aperto. Una corrente artica in questi giorni ha portato la temperatura sotto lo zero e una legge del governo ucraino vieta agli uomini in età da combattimento di abbandonare il paese e così il risultato è una colonna di donne, vecchi e bambini in fila per due e ferma sotto la neve. Le macchine con gli uomini arrivano quasi al confine, si incolonnano per un chilometro, fanno scendere i parenti con i trolley e le gabbie dei gatti e poi tornano indietro.

 

E’ l’Europa del 2022, quindi molti hanno scelto scarponi da trekking perché sono caldi e più adatti al fondo ghiacciato della strada e zaini da montagna per portarsi via la poca roba che possono portare – altri hanno ai piedi Nike e Adidas da corsa, che non sembrano una scelta azzeccata per questi giorni di spostamenti nel gelo ma magari sono le scarpe che preferiscono e l’unico modo per spostarle senza caricarsi troppo è indossarle. E’ comunque una situazione di lusso, rispetto a chi sceglie il confine polacco. Le auto incolonnate verso est bloccano le strade e ci vogliono quindici, sedici ore per fare tratti che in condizioni normali ne richiederebbero tre, molti dormono qualche ora in macchina. Per questo, per evitare l’ingorgo, un ramo minore dell’evacuazione punta qui, verso il sud. Trekking o scarpe da città, tutti battono i piedi per scaldarsi un po’, tranne i vecchi che hanno un’aria imperturbabile come se avessero saputo da anni che sarebbe finita così. 

 

Una regola non scritta dice che le famiglie con bambini piccoli possono passare a sinistra della fila e superare gli altri, per il resto si aspetta. Dietro, molti chilometri a nord e a est, c’è la “denazificazione” putiniana fatta con i bombardamenti. Davanti e oltre la linea di confine c’è la Romania ed è uno spettacolo che scalda il cuore quando ci si arriva. Ci sono tende che distribuiscono brodo caldo, ci sono cartelli con istruzioni che cominciano così: “Non siete soli”, ci sono volontari, ci sono anche tende dedicate al soccorso degli animali domestici, ci sono furgoni gratuiti che fanno la spola con la città – è un pensiero gentile, considerate le condizioni. C’è un chilometro intero di strutture improvvisate e dedicate ai profughi ucraini. Più avanti, quando non c’è più la zona di emergenza, colpisce una cosa: a molte finestre sono esposte la bandiera nazionale e quella dell’Unione europea, in un paese che è Europa ma è ancora fuori dall’euro e fuori – per ora – da Schengen.

 

Non è una cosa di adesso, sono bandiere che da molto tempo penzolano fuori da abitazioni private. Una massa di fuggitivi e di volontari dell’accoglienza, tutti europei, tutti non ancora integrati nella dimensione formale e legale dell’Europa e tutti molto desiderosi di farne parte. Tra queste grate e sotto la neve viene da pensare alle elezioni europee di meno di tre anni fa e agli assalti politici dei partiti filoputiniani, che dichiaravano di voler scardinare l’Europa.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)