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Il gelo sull'adesione. L'Ue è disposta a offrire all'Ucraina al massimo l'Erasmus

David Carretta

A Versailles l’Unione europea perde tutto lo slancio sulla candidatura dell’Ucraina come stato membro

Bruxelles – Dopo le sanzioni senza precedenti per isolare economicamente la Russia e la decisione di finanziare la fornitura di armi all’Ucraina, l’Unione europea non è pronta a fare un altro passo storico. I capi di stato e di governo risponderanno alla richiesta di adesione del presidente Volodymyr Zelensky offrendogli di entrare, al limite, nel programma Erasmus. La possibilità di concedere all’Ucraina lo status di paese candidato, assieme all’ipotesi di embargo sugli idrocarburi, è stato uno dei temi più controversi nella prima giornata del vertice di Versailles. I paesi baltici e dell’est sono favorevoli.

   
L’Ue ha fatto un gesto questa settimana, quando gli ambasciatori dei 27 hanno chiesto alla Commissione di preparare la sua opinione sullo status di candidato. Ma Francia, Germania e Paesi Bassi – tra gli altri – si sono opposti a una menzione esplicita nella dichiarazione finale di Versailles. “Servono anni. Concentriamoci sul breve periodo”, ha detto il premier olandese, Mark Rutte. “Possiamo aprire un processo di adesione con un paese in guerra? Non lo credo”, ha detto il presidente francese Emmanuel Macron.

     
La decisione di concedere lo status di candidato avrebbe un forte valore simbolico per l’Ucraina, ma senza conseguenze pratiche immediate. Il processo di adesione può durare decenni come sta avvenendo con i Balcani occidentali. Può essere fermato in qualsiasi momento come accaduto con la Turchia. Può anche non iniziare formalmente: la Macedonia del nord ha ottenuto lo status di paese candidato nel 2005, l’Albania nel 2014, ma per entrambi non è ancora stata convocata la conferenza intergovernativa per avviare le trattative. Il 28 febbraio Zelensky ha chiesto una “procedura accelerata” che non esiste. Ma per gli ucraini, che avevano fatto la rivoluzione di Maidan del 2014 con la bandiera europea, sarebbe un incoraggiamento. La prospettiva di adesione poi potrebbe consentire a Zelensky di fare concessioni sulla neutralità del paese e la rinuncia alla Nato. 

  
L’Eliseo ha spiegato che serve “un segnale politico sulla sua appartenenza alla famiglia europea”. “Vogliamo una Ucraina libera e democratica con cui condividiamo un destino comune”, ha detto Ursula von der Leyen, ma  aderirà “nel corso del tempo”. Le scuse non mancano: timore di provocare Putin, rabbia dei Balcani occidentali per essere scavalcati nella fila, impossibilità per l’Ue a 27 di accogliere altri membri. “Vogliamo esprimere sostegno a Zelensky e agli ucraini. Vogliamo dimostrare che sono parte della famiglia europea”, spiega al Foglio un ambasciatore di un paese scettico, che riflette il pensiero dominante a Bruxelles. Ma “dobbiamo cercare altri modi” rispetto all’adesione: “Erasmus, rappresentanti ucraini ad alcune riunioni del Consiglio europeo, programmi dell’Ue in cui possono integrarsi. C’è tutta una serie di programmi europei con cui possiamo mostrare che li consideriamo parte della famiglia europea”. Secondo l’ambasciatore, concedere lo status di candidato “non è solo una decisione politica”, ma “una procedura tecnica seria”. Si devono rispettare in parte i criteri di Copenaghen su democrazia, rispetto dei diritti, stabilità delle istituzioni, economia di mercato funzionante. “L’Ucraina non ci si avvicina nemmeno, in particolare per quello che ha fatto Putin”, dice l’ambasciatore: Zelensky ne fa “una questione troppo grossa” e dovrebbe concentrarsi “su cosa possiamo fare per gli ucraini nei prossimi sei mesi, come Erasmus”.
 

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