Foto: Ansa/Epa/Clemens Bilan

Willy Brandt chi?

Scholz rompe il tabù armi nell'Spd: aumento di 1,3 miliardi negli investimenti militari

Flaminia Bussotti

L’invasione russa porta a una svolta storica in Germania: il riarmo e gli aiuti militari a un paese straniero. Il cancelliere tedesco annuncia maggiori spese nella Difesa che arriverà a pesare oltre il 2 per cento del pil

Luftwaffe inadeguata, Marina inefficiente, Bundeswehr in stato desolato, truppa mal equipaggiata, armamenti obsoleti, obbiettivi Nato falliti: l’esercito tedesco è oggetto da anni di riforme ed è stato sistematicamente “kaputtgespart” (distrutto a forza di tagli e risparmi) e la capacità di reazione delle forze armate, a detta di esperti e generali, è “estremamente limitata” e in “drammatiche condizioni”. L’aggressione di Putin all’Ucraina è stata per Berlino l’ultimo campanello di allarme. La Germania, in caso di attacco, non sarebbe in grado di autodifendersi.

L’offensiva russa ha avuto l’effetto di un doppio choc. Da una parte una plateale provocazione nel cuore dell’Europa (due ore di volo Berlino-Kiev) in eclatante violazione del diritto internazionale. E dall’altra la presa di coscienza di essere indifesi e impreparati a fronteggiare qualsiasi possibile minaccia esterna: le proprie forze armate non sono all’altezza. Dopo settimane di rifiuti, silenzi e tentennamenti, il cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz, ad appena 82 giorni dall’insediamento, ha annunciato un’inversione di rotta senza precedenti, un vero cambio di paradigma nella politica di Difesa e sicurezza: il riarmo della Germania. E aiuti militari all’Ucraina fin qui sempre rifiutati.

Un bazooka che chiude con il dogma, frutto di considerazioni storiche, della politica estera condotta esclusivamente con la diplomazia, e che spazza via le esitazioni mostrate finora da Berlino ad assumersi le responsabilità di superpotenza europea quale è. Ruolo peraltro caldeggiato dagli alleati, in primis gli Stati Uniti, soprattutto dopo l’Unificazione nel 1990 e la riconquistata sovranità nazionale, ma sempre schivato dalla Germania alla luce del proprio passato e di una opinione pubblica fortemente antimilitarista. La guerra in Ucraina ha fatto da catalizzatore e ribaltato la percezione politica, e psicologica, di politici e cittadini. E ha ricompattato anche l’Europa che ha aderito unita, inclusa la neutrale Svizzera, alle drastiche sanzioni contro la Russia, al suo isolamento internazionale e alla sua condanna morale.

In un discorso domenica scorsa al Bundestag, definito da tutti storico, Scholz ha detto che “il 24 febbraio 2022 segna una svolta epocale nella storia del nostro continente”. Con l’invasione dell’Ucraina, Putin ha creato nuovi fatti che impongono una chiara risposta e “noi l’abbiamo data”. Eccola: con poche, stringate parole Scholz ha annunciato un poderoso piano di ammodernamento della Bundeswehr con uno stanziamento straordinario, in aggiunta al Bilancio regolare per la Difesa, di 100 miliardi di euro in investimenti in truppe, equipaggiamento, addestramento e armi.

Lo stanziamento sarà inserito già alla finanziaria 2022. Il bilancio della Difesa, inoltre sarà aumentato ogni anno a oltre il 2 per cento del Pil (nel 2020 era del 1,4 per cento) e il ministro delle Finanze liberale, Christian Lindner, vuole ancorare l’aumento nella Costituzione: si tratta di un investimento nella libertà, ha argomentato. L’obiettivo del 2 per cento, fissato per la Germania dagli accordi Nato, era oggetto di divergenze da anni, soprattutto durante l’amministrazione di Donald Trump, che non perdeva occasione di rinfacciare ad Angela Merkel di disattendere gli impegni assunti. Adesso, con un cancelliere socialdemocratico, l’obiettivo addirittura si supera. Il bilancio per la Difesa nella finanziaria 2021 era di 46,93 miliardi di euro, un aumento di 1,3 miliardi, +2,8 per cento rispetto al 2020 (45,65 miliardi). Contro l’obiettivo del 2 per cento si erano schierati a lungo Spd e Verdi ma adesso, anche se i mal di pancia sono forti in entrambi i partiti, a Scholz, con la guerra alle porte di casa, è riuscito il goal.

Il governo ha inoltre deciso l’invio di 1.000 lanciarazzi anticarro (Panzerfaust 3), un’arma di 13 chilogrammi che consente di colpire bersagli a 300, 400 metri di distanza e, a seconda delle munizioni, in grado di frantumare l’acciaio dei carri armati spesso 70 centimetri o una superficie di cemento armato di 24. C’è poi l’invio di 500 missili antiaerei terra aria di tipo Stinger, armamenti nel frattempo già arrivati in Ucraina. Giovedì Berlino ha annunciato l’invio di altri 2.700 missili antiaerei di tipo Strela in dotazione dell’esercito Nva della ex Ddr. Inoltre sono stati inviati 14 veicoli blindati per protezione personale o per evacuazione e 10.000 tonnellate combustibile. Dopo l’ostinato rifiuto dei giorni scorsi, e la figuraccia con la promessa di invio a Kiev di cinquemila elmetti, il governo ha anche autorizzato Olanda e Estonia a inviare di armi di provenienza tedesca. Finora si era rifiutato di autorizzare Tallinn a fornire all’Ucraina vecchi obici della Ddr invocando una legge di una ventina di anni fa che vieta alla Germania l’invio di armi in zone di conflitto (nonostante le molte eccezioni: i peshmerga curdi nel Nord Iraq, l’Afghanistan, o anche Arabia Saudita, Egitto, Turchia, Emirati arabi Uniti e Israele). Si tratta di 400 lanciarazzi anticarro olandesi e nove obici estoni. Questi ultimi erano stati dati negli anni Novanta alla Finlandia e ceduti poi all’Estonia. Sono armi sviluppate negli anni Cinquanta dall’Urss, modello D-30, che pesano oltre tre tonnellate e capaci di raggiungere un obbiettivo a 15 chilomtri.

Un paio di settimane fa Berlino aveva già confermato lo stop, su cui da mesi premeva la Casa Bianca, al gasdotto Nord Stream 2, che dovrebbe pompare gas russo in Germania, e poi in Europa, scavalcando Polonia e Ucraina. Al momento, con la guerra sul terreno, il futuro del gasdotto della discordia, che vede coinvolto come top manager di Gazprom l’ex cancelliere Gerhard Schröder, e fortemente difeso anche dalla Merkel, è seppellito. Anche la Germania, che dipende in forte misura dal gas russo (oltre 50 per cento) come l’Italia (oltre 40 per cento), sta cercando fornitori alternativi e spinge sul progetto fiore all’occhiello del governo semaforo di sviluppo delle energie rinnovabili. “Fine di un’illusione”, annota lo Spiegel, osservando come decenni di politica tedesca verso la Russia siano crollati come un castello di carte. La Germania ha creduto che la pace e la sicurezza in Europa fossero garantite solo attraverso la cooperazione. Era l’assioma della politica estera giustificato anche da buone ragioni: il nazismo e la guerra di annientamento contro l’Unione sovietica. Un misto di senso di colpa e gratitudine per avere permesso l’Unificazione hanno indotto a chiudere un occhio con Mosca. Senza contare i forti interessi economici che nel 2021 hanno fatto segnare un record nell’interscambio di oltre 500 miliardi di euro verso i paesi dell’Est Europa di cui, al terzo posto, la Russia con circa 60 miliardi, oltre il 34 per cento. Con la guerra in Ucraina le cose sono di colpo cambiate: la Bundesrepublik, scrive Spiegel, ha avuto 30 anni felici di benessere e stabilità. Pochi paesi hanno profittato dell’integrazione europea e della globalizzazione come la Germania, ma “quest’era sta finendo”, la Russia è una forza revisionista che reclama influenza nei paesi esteuropei membri dell’Ue e sfida militarmente l’Europa.

Ma che vuol dire questa svolta, la fine del tabù del “pacifismo” tedesco? “Assolutamente no”, dice il politologo Albrecht von Lucke, uno dei più acuti analisti politici. “E’ solo la presa di coscienza di dover adeguare il livello di efficienza delle forze armate che nonostante i miliardi sperperati si trovano in uno stato disastroso”. Aver capito la necessità di dover avere un esercito non significa un addio alla politica di distensione, “i negoziati saranno sempre necessari, anche con un criminale di guerra come Putin, tanto più ora perché bisognerà offrire a quest’uomo disposto a tutto una via d’uscita, anche se io temo il peggio”. Si dovrà negoziare con lui se non si vuole uno scenario come in Siria o Grozny in Cecenia. Il dibattito andrà avanti, “lo si vede già ora con la domanda se l’Europa non abbia bisogno di armi atomiche se gli americani si congederanno con una eventuale rielezione di Trump nel 2024”. Dietro c’è la consapevolezza di doversi poter difendere, che chi è inerme non viene preso sul serio e può fare la fine dell’Ucraina: “Questa sì che è una cesura”.

La decisione sul riarmo è condivisa da tutto il governo semaforo fra Spd, Verdi e Liberali, anche se molti malumori serpeggiano fra i socialdemocratici e i Grünen. E’ una “tragica necessità”, ha detto la copresidente Spd, Saskia Esken. “Chi sta a guardare uno stupro militare è complice”, ha detto Robert Habeck, vicecancelliere verde e ministro dell’Economia e dell’Energia. In visita a Washington, ha avvertito una nuova percezione della Germania, di “un partner forte”, un “nuovo Rinascimento”. Habeck ha sottolineato che nella ricerca di alternative al gas russo non ci sono preclusioni, inclusa l’ipotesi di prolungare la durata delle centrali a carbone – la cui chiusura in realtà il governo semaforo vorrebbe anticipare dal 2038 al 2030: l’approvvigionamento energetico ha la priorità. Nel dibattito sull’energia si affaccia anche la considerazione di rinviare la chiusura delle centrali nucleari, decisa dalla Merkel dopo la sciagura di Fukushima nel 2011, ma si tratta al momento solo di voci isolate. La ministra degli Esteri verde, Annalena Baerbock, ha richiamato il diritto alla difesa garantito dalla Carta delle Nazioni Unite: “Non possiamo abbandonare l’Ucraina inerme all’aggressore”, l’ordine internazionale è minacciato. Forse, ha ipotizzato, la Germania si lascia alle spalle la sua politica di estera e di sicurezza “di reticenza, riluttanza, moderazione”.

Il discorso Scholz ha incontrato anche l’approvazione del leader dell’opposizione Friedrich Merz (Cdu) che ha lodato le parole del cancelliere e assicurato l’appoggio della Cdu-Csu. L’ambasciatore ucraino Andrij Melnyk, che da settimane gridava al vento le richieste di aiuto alla Germania, invitato alla seduta del Bundestag, ha esultato per la svolta a 180 gradi del governo: “Avanti così cancelliere Olaf Scholz, la coalizione contro la guerra funziona”, ha twittato. Anche i tedeschi, che sono scesi in piazza in massa questi giorni per l’Ucraina, sostengono la svolta sulla difesa del governo: secondo un sondaggio il 78 per cento è in favore e il 16 per cento contrario.

Dopo oltre 70 anni di politica di appeasement, Berlino si congeda dall’ideologia e atterra nella realtà. Suona come un paradosso che sia proprio un cancelliere Spd, il partito di Willy Brandt, il primo cancelliere socialdemocratico, artefice della politica di distensione e della Ostpolitik, che ha imboccato l’inversione di marcia. Ma da qui a temere un ritorno del militarismo di prussiana memoria ce ne vuole, sottolinea von Lucke. “Noi abbiamo avuto la fortuna per decenni di non dover pensare militarmente, era una pacificazione più che altro mentale, e l’idea che potesse mai esserci una guerra sul suolo tedesco era inconcepibile”. Non esiste un nuovo bellicismo, “non c’è l’ombra di militarismo né nell’esercito né tanto meno fra la gente, e credo non ci sia neanche in Italia: l’idea di doversi difendere è remota”. Il coraggio che stanno dimostrando le ucraine e gli ucraini nel difendere il proprio Paese “da noi assolutamente non esiste”. Si realizza solo che c’è un nemico in Europa e che la frase storica di Genscher dopo la caduta del Muro nell’89 – “siamo circondati da amici” – non vale più: questo è stato il vero choc”. Se negli anni Sessanta si diceva “Bonn non è Weimar”, ciò vale ancor più per Berlino nel XXI secolo, “lontana anni luce dallo spirito prussiano guglielmino”. E questo vale anche per i politici dell’estrema destra AfD, che sono dei “razzisti egomaniaci narcisisti” interessati solo a difendere il proprio benessere.

Del resto, a parti inverse, negli Stati Uniti fu un presidente repubblicano, Richard Nixon, che nel 1972 aprì alla Cina visitando e sdoganando politicamente per primo il paese comunista. E in minore, in Germania, fu un politico conservatore, il ministro della difesa Karl-Theodor zu Guttenberg, dell’Unione cristiano sociale bavarese (Csu), astro precipitato della politica tedesca per colpa di una tesi di dottorato scopiazzata, che abolì la leva obbligatoria trasformando nel 2011 la Bundeswehr in un esercito professionale. Gli eventi in Ucraina hanno peraltro alimentato in questi giorni il dibattito su una eventuale reintroduzione della leva, anche se sono stati proprio alcuni militari a dirsi contrari, sostenendo che oggi piuttosto servono, nelle Forze armate, sempre più specialisti come cibernetici, esperti digitali e informatici. E fu il governo rosso-verde di Schröder e Fischer che nel 1999, per la prima volta dal 1945, decise la partecipazione della Germania all’intervento armato della Nato in Kosovo. E ancora, fu sempre il cancelliere socialdemocratico Schröder che varò la più drastica riforma del mercato del lavoro in Germania, l’Agenda 2020, che guarì l’economia tedesca ma spaccò la Spd e gli costò la cancelleria nel 2005.

Di più su questi argomenti: