Foto Maurizio Brambatti / Pool Ansa / LaPresse 

Scholz, Johnson e due lezioni per Draghi, sulla libertà e l'altra guerra da vincere 

Claudio Cerasa

Sappiamo cosa combattiamo, ma sappiamo cosa difendiamo?  Difendere la sovranità dell’Ucraina dall’aggressione del nazionalismo russo significa difendere tutto quello che i nazionalisti per anni hanno negato di voler difendere

Sappiamo cosa stiamo combattendo, ma sappiamo anche cosa stiamo difendendo? Il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, due giorni fa lo ha detto in modo dirompente: “Stare al fianco dell’Ucraina significa stare dalla parte giusta della storia”. Il primo ministro britannico, Boris Johnson, qualche giorno prima lo aveva detto in modo altrettanto chiaro: “Quello di Putin è un attacco alla democrazia e alla libertà”. Oggi, a trovare le parole giuste per fotografare senza ipocrisie il dramma ucraino generato dall’aggressione russa dovrà essere il presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, e le parole offerte in questi giorni da Scholz e da Johnson potrebbero aiutare il capo del governo a offrire qualche elemento utile per rispondere a una domanda importante: sappiamo cosa stiamo combattendo, ovvero Putin, ma siamo proprio sicuri di sapere cosa stiamo difendendo? Per provare a rispondere a questa domanda occorre allargare la nostra inquadratura e riconoscere le ragioni che fanno della guerra contro Putin una guerra all’interno della quale c’è qualcosa di più importante di un semplice e angosciante conflitto militare.

Oggi, difendere la sovranità dell’Ucraina dall’aggressione del nazionalismo russo significa difendere tutto quello che i nazionalisti per anni hanno negato di voler difendere. Combattere Putin significa combattere le democrazie illiberali. Combattere le democrazie illiberali significa difendere le società aperte. Difendere le società aperte significa difendere le istituzioni preposte alla tutela delle democrazie liberali. E difendere le istituzioni che tutelano le democrazie liberali non significa solo respingere l’attacco alla democrazia da parte di tutti coloro che suggeriscono che la democrazia liberale abbia delle alternative più efficienti (da Orbán a Casaleggio). Significa fare altro. Significa combattere i nemici della Nato, combattere i nemici dell’atlantismo, combattere i nemici del multilateralismo e combattere di conseguenza anche gli amici dell’isolazionismo.

 

Sappiamo cosa stiamo combattendo ma forse non sappiamo fino in fondo cosa stiamo difendendo. Perché sapere cosa vuol dire oggi difendere fino in fondo l’Ucraina, la sua sovranità, la sua democrazia, la sua libertà, significherebbe combattere con convinzione anche alcune teorie politiche che molti partiti in questi anni hanno provato a sostenere con forza. Il nazionalismo. Il protezionismo. L’isolazionismo. Il populismo. Non si può essere fino in fondo dalla parte dell’Ucraina senza essere fino in fondo dalla parte dell’integrazione, della solidarietà, della cooperazione, della crescita dell’Europa. Dalla parte di chi sa che per difendersi dai nemici esterni non conviene alzare muri (nazionalismo), non conviene cavalcare le politiche della solitudine (sovranismo), ma conviene costruire assi, alleanze, accordi, patti, coalizioni per poter proteggere i propri cittadini, e anche i propri elettori, dalle minacce esterne – in un mondo popolato da molti elefanti è meglio unire le forze cedendo un pezzetto di sovranità per non dover affrontare le grandi sfide globali indossando i panni dei topolini.

 

La libertà, diceva Piero Calamandrei, è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare. La pandemia prima e la guerra oggi ci fanno mancare l’aria e ci ricordano quali sono alcune libertà che per troppo tempo abbiamo dato per scontato. E quando Matteo Salvini, per esempio, dice che “Putin approfitta di un occidente debole e diviso, di un’Europa che non ha una voce unica” e quando Giorgia Meloni dice che l’Europa di fronte all’aggressione di Putin dovrebbe essere “più forte” verrebbe da chiedere chi in questi anni ha trasformato il nazionalismo in un’ideologia utile a fare quello che oggi Putin sta provando a fare con l’Ucraina: attaccare l’Europa rimettendo in discussione i princìpi non negoziabili delle democrazie liberali. L’ordine internazionale liberale oggi ha più difensori di quanto ci si potesse immaginare. Ma il punto resta quello: sappiamo cosa stiamo combattendo ma siamo sicuri di sapere cosa stiamo difendendo?

 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.