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Rischi e prospettive

Escludere la Russia dalla rete Swift è la mossa finale contro Putin

Stefano Cingolani

Tagliare il cordone ombelicale tra economia russa e occidentale sarebbe un duro colpo per Mosca. Ma il Cremlino potrebbe presto aggirare l'ostacolo con soluzioni alternative, per esempio grazie al sistema nazionale di trasferimento dei messaggi finanziari o alle criptovalute. E ci sono grandi rischi anche per l'Europa

ALFARUMMXXX: non è una formula magica né un gioco di parole, ma molto semplicemente il codice Swift di Alfa-Bank, la più grande banca russa controllata da Mikhail Fridman, uno dei maggiori oligarchi, nato in Ucraina, fondatore del Congresso russo-ebraico, un uomo d’affari accorto e globalizzato. Se si bloccherà l’intera catena dei pagamenti che lega la Russia al resto del mondo quel codice verrà annullato. Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunications (Swift), così si chiama il sistema belga di messaggistica che connette oltre undicimila istituzioni finanziarie per i loro trasferimenti di denaro in tutto il mondo. Ogni giorno circa 40 milioni di transazioni passano attraverso quel servizio in più di 200 paesi e territori.

 

Cosa accadrà una volta fuori dal circuito ad Alfa-Bank e ai suoi sette milioni di clienti? La vera domanda è che cosa succederà alla rete che collega la banca russa e l’intero sistema finanziario internazionale e non solo perché ha sedi in sette paesi tra i quali l’Italia, che Fridman ama e frequenta finanziando numerose attività culturali come il festival rossiniano di Pesaro. Non c’è dubbio che anche Alfa-Bank verrebbe colpita, ma quanto duramente? Dopo la prima ondata di blande sanzioni antirusse la banca ha dovuto interrompere i finanziamenti al complesso militar-industriale che rappresentava uno dei principali impieghi. Nel 2015 aveva già chiuso la sua filiale di New York a causa del divieto alle società americane di investire in azioni russe e la platea di clienti si è ridimensionata. L’eventuale blocco del codice Swift vorrebbe dire abbandonare i clienti migliori. Ma attenzione, fatta la legge (o la sanzione) trovato l’inganno. 

 

Uscita l’Alfa-Bank, a sostenere il settore militare è arrivata la Russian Finance Corporation (Rfk), di proprietà di Rosoboronexport, che fa parte di Rostec, la holding statale nata nel 2007 che controlla 14 holding e 700 imprese. Dopo le sanzioni del 2014, non ha più accesso al mercato americano, tuttavia veicola soldi pubblici alle imprese da sostenere. È solo un esempio, ma la dice lunga su quanto sarà difficile tagliare il cordone ombelicale tra l’economia russa e quella occidentale per mettere in ginocchio Mosca, il regime di Putin e i suoi oligarchi, i quali peraltro sono già da tempo radicati in paradisi fiscali difficilmente controllabili. Il governo ha sviluppato un sistema chiamato Spfs (Sistema di trasferimento di messaggi finanziari) che copre il 20 per cento delle transazioni nazionali, consente quelle con i paesi satelliti dell’ex Urss e potrebbe collegarsi in un prossimo futuro a India, Iran, Cina. Senza dimenticare che oggi c’è una variabile anch’essa fuori dai radar: l’arma delle criptovalute è già stata utilizzata ampiamente per finanziare soprattutto i gruppi combattenti ucraini, senza che nessuno potesse intervenire.

 

La Banca centrale russa aveva proposto di stringere i controlli sul proprio territorio, ma di fronte alle sanzioni che interrompono i circuiti ufficiali, bitcoin e i suoi fratelli possono diventare una scappatoia per gli oligarchi e il governo di Mosca già super attivo nel mondo digitale. Anche l’ipotesi di staccare la spina a internet e al circo dei social media dove la Russia è più arretrata rispetto alla Cina, è piena di controindicazioni. In ogni caso in un periodo relativamente breve gli hacker russi potrebbero trovare le loro risposte. Secondo una stima fatta nel 2014, all’epoca dell’annessione della Crimea, dall’ex ministro delle Finanze russo Alexei Kudrin, un’esclusione dallo Swift avrebbe comportato per l’economia russa la perdita immediata del 5 per cento del suo valore. Un colpo duro, ma assorbibile. L’economia russa ha un prodotto lordo annuo di 1.483 miliardi di dollari, l’Iran s’aggira sui 470 miliardi. Inoltre, l’aumento dei prezzi delle materie prime ha consentito alla Russia di accumulare riserve molto significative: quasi 630 miliardi di dollari. La sua bilancia dei pagamenti è ampiamente in attivo: 7 per cento del prodotto nazionale lordo, una quota tra le maggiori al mondo. 

 

Chiudere lo Swift potrebbe avere una ricaduta molto dura soprattutto in Europa. L’Italia è il quinto fornitore della Federazione russa, dopo Cina, Germania, Stati Uniti e Bielorussia, le esportazioni ammontano a 7 miliardi di euro l’anno che verrebbero perduti. Le banche europee si oppongono a un cordone finanziario che chiuda la Russia, le perdite per i crediti concessi mai più ripagati farebbero vacillare il capitale dei maggiori istituti. La Unicredit in Italia è molto esposta, si sta mettendo al riparo e ha rinunciato a possibili acquisizioni in Russia e in Ucraina; l’austriaca Raiffeisen Bank accumula capitale per far fronte all’impatto delle sanzioni; le banche tedesche sarebbero forse le più scosse. La vera “arma nucleare” in grado di mettere in ginocchio Putin sarebbe interrompere le importazioni del gas russo dal quale dipende per due terzi l’approvvigionamento di risorse finanziarie pregiate (per lo più in dollari). Ma la ricaduta sui mercati energetici, sull’inflazione e sull’Europa sarebbe di gran lunga peggiore della crisi petrolifera provocata dagli sceicchi negli anni Settanta.
 

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