Così la Cina fa da àncora di salvezza alla Russia sanzionata

Giulia Pompili

La crisi in Ucraina può essere vantaggiosa per Pechino. Dal petrolio al gas, dalle banche all'export. Con qualche rischio

Per sapere se e quanto funzioneranno le sanzioni economiche occidentali contro la Russia, imposte dopo la decisione di Putin di riconoscere le cosiddette repubbliche di Donetsk e Luhansk, bisogna capire se e quanto la Cina sarà disposta ad aiutare la Russia. Il leader Xi Jinping si trova in una situazione particolarmente complicata, perché sul piano politico non può non sostenere il Cremlino – con il quale condivide la strategia di smantellamento dell’ordine a guida americana – ma allo stesso tempo ha bisogno di un ecosistema commerciale favorevole anche con l’occidente. La crisi in Ucraina può essere vantaggiosa per la Cina, perché ha come conseguenza un’America distratta, ma Pechino è pur sempre il primo partner commerciale di Mosca, e le sanzioni potrebbero avere un effetto secondario anche sull’economia cinese, già colpita da anni di guerra commerciale con gli Stati Uniti. “La posizione del governo cinese è che le sanzioni non sono mai state uno strumento efficace per risolvere un problema e la Cina si oppone sempre a qualsiasi sanzione unilaterale illegale. Hanno mai risolto qualcosa le sanzioni americane o europee?”, ha detto ieri la portavoce del ministero degli Esteri cinese, Hua Chunying (omettendo il fatto che la Cina, il 22 marzo dello scorso anno, ha imposto sanzioni unilaterali contro 10 individui e 4 istituzioni europee). Dopo l’aggressione della Crimea nel 2014, Pechino è stato il principale sponsor della Russia, e sebbene oggi la situazione sia ben più complessa questa partnership a lungo termine potrebbe minare dalle fondamenta la strategia delle sanzioni occidentale.

 

Quando il 4 febbraio scorso Putin è volato a Pechino a incontrare Xi, è stata inaugurata una “nuova èra” delle relazioni tra Russia e Cina che ha portato soprattutto a un asse strategico da usare in caso di crisi con l’occidente: “Durante il vertice sono stati conclusi principalmente due contratti per aumentare l’esportazione di materie prime russe: petrolio e gas”, si legge in un report del Osw-Center for Eastern Studies di Varsavia. La Rosneft russa ha firmato un accordo per la fornitura al Dragone di 100 milioni di tonnellate di petrolio, ma sono state soprattutto la russa Gazprom e la China National Petroleum Corp. a firmare l’accordo più strategico, e da leggere sul lungo periodo. Il gasdotto Power of Siberia 2 potrebbe avere una capacità di 50 miliardi di metri cubi l’anno, che si aggiungerebbero ai 38 miliardi di metri cubi che la Russia già fornisce alla Cina con il Power of Siberia 1, il gasdotto diventato operativo nel 2019 ma il cui contratto fu firmato proprio nel 2014, quando Mosca aveva bisogno d’aiuto dalla Cina. Il secondo gasdotto potrebbe non essere pronto prima di dieci anni, ma porrebbe in diretta competizione energetica l’Europa e la Cina. Non solo:  durante la visita di Putin a Pechino, “sono stati conclusi diversi accordi intergovernativi per facilitare il commercio reciproco”. 

  

Per esempio per facilitare l’esportazione di  prodotti agricoli dalla Russia,  e “l’interoperabilità dei sistemi di navigazione satellitare Głonass (russo) e Baidou (cinese), che consentirà anche l’utilizzo dell’infrastruttura da parte del paese partner in caso di guerra e distruzione dei propri satelliti”. Oltre all’energia, ci sono le banche. Jakub Jakóbowski, uno degli autori del report di Osw ed esperto di relazioni tra Russia e Cina, ha scritto su Twitter che sin dal 2014  “la Russia ha diminuito progressivamente la sua dipendenza dai finanziamenti occidentali, e americani in particolare”. Il debito del settore bancario russo con istituti stranieri si aggira oggi attorno ai 59 miliardi di dollari, e le sanzioni che vietano prestiti alle banche russe non sono un colpo così grave. “La Cina potrebbe colmare questo buco di 59 miliardi di dollari?  Probabilmente no, almeno non le banche commerciali statali cinesi, come Bank of China  o la Commercial Bank of China, per paura che questo possa influire sulle loro operazioni globali, comprese quelle negli Stati Uniti e nell’Ue”, scrive  Jakóbowski. “Se dovessi cercare un canale attraverso il quale la Cina potrebbe gettare un’àncora di salvezza alla Russia, sarebbero le banche cinesi che prestano fondi direttamente alle imprese russe.  Questo tipo di prestito ha aiutato  la Russia in tempi difficili,  nel 2009 (con la crisi globale) e nel 2014-2015 (Crimea)”. E’ un sistema di prestiti efficace perché arriva da banche istituzionali cinesi, come la Exim, “che hanno prestato denaro alle grandi compagnie energetiche russe, spesso tramite scambi in petrolio, fornendo liquidità”. 

“Cinquant’anni sono tanti”, dice al Foglio Minxin Pei, uno dei più autorevoli politologi esperto nelle relazioni tra America e Cina. “Nixon non poteva prevedere che la Cina e gli Stati Uniti sarebbero stati bloccati in una rivalità ostile cinquant’anni dopo il suo sbarco in Cina. Possiamo essere fiduciosi che le relazioni tra la Cina e la Russia saranno molto diverse tra mezzo secolo”.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.