Festival delle luci a Vilnius in Lituania, gennaio 2022 (AP Photo/Mindaugas Kulbis) 

Un viaggio in Lituania è un passaggio in un luogo perduto

Francesco M. Cataluccio

Ci ha pensato l’esuberante natura a garantire continuità con il passato. Una tromba d’aria nel centro dell’Europa (che esiste davvero)

Coraggiosa e fiera terra di molti popoli (lituani, polacchi, ruteni, ebrei, tartari, tedeschi ), senza confini naturali sicuri, la piccola e bellissima Lituania ha subìto, soprattutto negli ultimi duecento anni, parecchie mazzate dalla Storia. Su questo ha cercato di ironizzare il bravo regista Karolis Kaupinis, col bel film Nova Lituania (2019), visibile sulla piattaforma MUBI, ambientato nel periodo tra le due guerre mondiali, quando la Polonia si era presa un bel pezzo di territorio, compresa la capitale Vilnius. I goffi e preoccupati politici, protagonisti del film, sentono la pressione straniera alle frontiere: “Le zone scarsamente popolate sono più difficilmente difendibili. La nostra densità di popolazione è 3-4 volte inferiore a quella dei nostri vicini e questo ci rende facile bersaglio di una colonizzazione pacifica o aggressiva. Abbiamo un abitante ogni ventimila metri quadrati: il vuoto attrae la pienezza”. La soluzione viene prospettata da un bizzarro geografo: creare una “Lituania di riserva”. Farla in Africa dove c’è tanto spazio, e trasferirci i tecnici, i medici, gli ingegneri: “Le persone indispensabili per costruire meglio un nuovo paese”.

   
Il problema della Lituania indipendente (lo divenne la prima volta il 16 febbraio 1918) è sempre stato quello di essere schiacciata, o aver dato fastidio, agli stati vicini più potenti: la Russia, la Germania e persino la Polonia. Il 23 marzo del 1939 la Lituania dovette cedere alla Germania nazista la città e la regione di Klaipėda, sul Mar Baltico. Il Patto Molotov-Ribbentrop (23 agosto 1939), prevedeva, nelle sue clausole segrete, che la Finlandia, l’Estonia e la Lettonia sarebbero state assegnate all’area d’ influenza sovietica, la Lituania a quella tedesca. La sorte della Lituania venne poi modificata e anch’essa passò sotto il controllo sovietico in cambio di sette milioni e mezzo di dollari in oro e di un distretto polacco. Così, nel settembre 1939, l’Unione sovietica occupò la Lituania (e quella parte di essa, come Vilnius, che i polacchi si erano presi). Immediatamente i sovietici perpetrarono fucilazioni e deportazioni di migliaia di persone (che continuarono dopo il 1945). Per questo, nell’estate del 1941, i tedeschi vennero inizialmente accolti come liberatori e non mancarono i collaborazionisti (come accadde anche negli altri paesi dell’Est, e anche in Italia, Francia, Paesi Bassi…). Ma, come ricordano molti lituani, quasi subito i nazisti gettarono la maschera dimostrandosi ancora più insensatamente feroci: massacrando gli ebrei e dando la caccia ai lituani che non si erano sottomessi. E, nel Dopoguerra, fino al 1956, continuò la disperata guerra partigiana contro i sovietici dei “Fratelli della foresta”.

   
Il viaggio nella Lituania di oggi è quindi un po’ un passaggio in un luogo perduto.
Non c’è più il paese delle molte genti, culture e religioni. Soprattutto sono spariti gli ebrei che costituivano quasi un terzo della popolazione. Vilnius, fino al 1939, era una città polacca abitata da una popolazione ebraica talmente numerosa e vivace da meritarsi l’appellativo di “Gerusalemme del Nord”. Dopo il ritorno dell’indipendenza, i molti che se n’erano andati hanno fatto fatica a ritrovare il mondo che avevano lasciato. Ma alcune vestigia, come gli edifici barocchi, sono ostinatamente rimaste e accendono la fantasia dei ricordi.

  

Un paese di foreste e boschi immensi, verdi laghi e pianure a perdita d’occhio, lagune che sembrano mare, dune altissime e un mare grigio che si confonde col cielo. Ci ha pensato l’esuberante natura a garantire una continuità, quasi metafisica, con il passato. In Lituania sopravvive tra gli abitanti l’antico culto degli alberi e delle foreste, accanto a un forte culto dei morti. Un’immagine del cosmo incantata dal mistero delle fertilità, della vita che non ha parole, di una terra-madre che genera e accoglie un’immensa fratellanza umano-animale-vegetale. Le foreste come luogo di culto per eccellenza: sacre, ovvero intangibili, perché divinamente abitate in ogni anfratto. Nelle foreste abitava Medeina, dea di tutto ciò che cresce. La Lituania è stata l’ultimo stato europeo ad abbandonare (di malavoglia) il paganesimo per il cristianesimo (1387). L’ostinata sopravvivenza del paganesimo, fino ai nostri giorni, è una delle chiavi per comprendere la Lituania.
      

Questo piccolo paese ha prodotto un numero notevole di originali poeti, studiosi, “contrabbandieri di libri”, artisti e scienziati di grande livello, che si sono quasi tutti potuti esprimere emigrando, ma rimanendo sempre saldamente legati alle radici lituane. Basti ricordare soltanto: il pittore simbolista e compositore Mikalojus Čiurlionis; il regista teatrale Eimuntas Nekrošius; il poeta e regista d’avanguardia Jonas Mekas; l’archeologa, linguista e antropologa Marija Gimbutas; il linguista Max Weinreich; i poeti Oskar Milosz e Tomas Venclova; il filosofo Emmanuel Lévinas e lo storico dell’arte Jurgis Baltrušaitis…
      

La gente oggi si sente libera e scatena in ogni occasione la propria esuberante creatività, come ha dimostrato la performace Sun & Sea (Marina) del collettivo lituano Neon Realism (Leone d’Oro alla Biennale d’Arte di Venezia del 2019), che trasformò uno spazio ampio e buio, con un ballatoio ammezzato superiore, in una surreale e divertente lingua di spiaggia assolata, gremita di turisti che cantavano, stesi sulla sabbia, in costume da bagno, fra asciugamani colorati, ombrelloni e potenti luci sbiancate. 
     

La Lituania è saldamente legata all’Europa e ai suoi valori. Del resto, proprio nel 1989, l’istituto geografico nazionale francese stabilì che là cade, geograficamente, il centro dell’Europa (intesa come regione dall’Atlantico agli Urali). Dopo aver attraversato il fitto parco a ventiquattro chilometri a nord di Vilnius, sono andato a vedere la targa sulla roccia che indica quel punto esatto: 54°54’ di latitudine, 25°19’di longitudine. Sarà stato per il forte vento, ma mi sono sentito come al centro del mulinello di una tromba d’aria.

 

Francesco M. Cataluccio

Saggista e scrittore.  Il 25 febbraio, nell’ambito del Festival “Fotografia e letteratura” (Roma, La Nuvola), ci sarà una mostra di sue foto della Lituania. A maggio uscirà il libro “Non c’è nessuna Itaca. Viaggio in Lituania”  (Humboldt Books) 

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