Il liberale Koenig ci dice la parola-chiave per la Francia: semplificare

Mauro Zanon

Lo scrittore e filosofo francese spiega cosa lo ha deluso di Macron. E perché ha deciso di correre per l'Eliseo. "La burocrazia impedisce a molte persone di vivere, lavorare e sognare"

Parigi. Nel 2016, la responsabile del casting di “Jackie”, il biopic su Jacqueline Kennedy diretto da Pablo Larraín, gli chiese se per qualche settimana poteva sospendere la sua attività di pensatore e difensore del liberalismo a Parigi per venire a Washington a interpretare Ted Kennedy, vista la somiglianza impressionante con il fratello minore di Jfk. Non ci pensò due volte. E si ritrovò nel camerino con Natalie Portman, Jackie, vivendo per qualche giorno un piccolo sogno hollywoodiano. Ma oggi Gaspard Koenig, scrittore e filosofo liberale francese, ha altro per la testa. “Ho deciso di candidarmi all’Eliseo perché sono insoddisfatto dell’offerta politica attuale e perché non esiste una vera forza centrista radicale e liberale”, dice al Foglio Koenig, 39 anni, che nel 2017 votò Emmanuel Macron e ora è tra i critici più severi del quinquennio. “Dopo essere stato eletto, Macron ha rindossato rapidamente gli abiti classici dell’ispettore delle finanze per ricentralizzare il potere. Mai come in questo quinquennio il potere è stato concentrato a Parigi, da tutti i punti di vista”, afferma Koenig, prima di aggiungere: “L’attuale inquilino dell’Eliseo ha inoltre portato al suo apogeo l’iperpersonalizzazione della Quinta Repubblica. Decide tutto e si rivolge ai francesi come se fossero dei bambini. Mi viene in mente, in questo senso, una delle sue ultime interviste, in cui ha dichiarato di aver ‘imparato ad amare i francesi’…”. 

Quando gli chiediamo qual è la differenza tra il liberalismo incarnato dall’ex candidato di En Marche! e il suo, ci risponde così: “Il presidente incarna il neoliberalismo secondo l’accezione che Michel Foucault dà di questo termine: il suo è il governo degli esperti, dei tecnocrati. Molti ministri non hanno alcuna conoscenza del territorio e della politica. A questo si aggiungono l’allestimento di un sistema di sorveglianza, con dispositivi intrusivi come il green pass, e la connivenza con i grandi gruppi industriali, che sono stati coccolati a detrimento dei piccoli imprenditori e dei liberi professionisti”, spiega al Foglio Koenig. “Io, invece, difendo un liberalismo dal basso, che parta dall’individuo, dal cittadino, dall’impresa, dal comune, che dia maggiore autonomia ai territori e che torni a mettere al centro la libertà, abolendo il regime di sorveglianza e di autorizzazione perpetuo a cui siamo sottoposti”, aggiunge.

Il nome del suo movimento politico, fondato nella primavera del 2021, è Simple, perché la priorità è “semplificare, semplificare, semplificare”, ripete Koenig, e uscire dalla “prigione burocratica” in cui si trova attualmente la Francia e che rende la vita impossibile a milioni di francesi. “Il problema centrale della libertà è legato alla questione dell’inflazione normativa. Macron ha seguìto la tendenza dei suoi predecessori: dopo cinque anni, ci sono ancora più leggi. Questa sovrapproduzione normativa, lo abbiamo visto con la crisi sanitaria, è in piena effervescenza in tutti i campi della società. Tutte le persone che incontro girando la Francia nel quadro dei miei ‘Tour della semplificazione’, mi dicono che da vent’anni a questa parte la vita è diventata impossibile per colpa della burocrazia”.

La scintilla che lo ha spinto a lanciarsi nella corsa per le presidenziali è scattata dopo il suo viaggio a cavallo da Bordeaux a Roma sui passi di Montaigne, intrapreso nel 2020 e da cui ha tratto un libro, “Notre vagabonde liberté, à cheval sur les traces de Montaigne”. “Questa cavalcata in giro per l’Europa mi ha risvegliato e mi sono reso conto fino a che punto la burocrazia impedisce alle persone di vivere, lavorare, sognare”, racconta al Foglio Koenig. Candidarsi alle presidenziali “ha sicuramente un lato romantico”, dice il filosofo liberale. Ma vuole andare oltre. “Il mio obiettivo è quello di forgiare un movimento politico duraturo, su una base liberale, che vada oltre le presidenziali, continuando il lavoro che porto avanti da dieci anni con il think tank che ho fondato nel 2013, Génération Libre”.