António Costa (Getty Images) 

Il Portogallo vota, tra pandemia, crisi a sinistra e alleanze difficili

Marcello Sacco

Dopo la spallata dei partiti che garantivano la sopravvivenza a un governo di minoranza, insoddisfatti della sua manovra finanziaria, domenica si va alle urne

Lisbona. Fatte salve le ovvie differenze, si direbbe che al primo ministro portoghese, il socialista António Costa, sia accaduto ciò che a Draghi era successo in autunno con i sindacati, insoddisfatti della sua manovra finanziaria. Solo che in Portogallo la spallata è arrivata dai partiti che garantivano la sopravvivenza a un governo di minoranza. Al Presidente della Repubblica, Marcelo Rebelo de Sousa, non restava che sciogliere il Parlamento. E così il 30 gennaio andranno a votare circa 10.800.000 portoghesi, un numero record di iscritti, sebbene da più parti si chieda di aggiornare i registri elettorali, anche per sgonfiare un po’ i dati sull’astensionismo, qui sempre molto alto. Alle legislative del 2019 gli astenuti furono più della metà e stavolta ci si mettono anche le quarantene a complicare l’andata alle urne. Il governo ha predisposto sistemi per il voto anticipato (buono per chi teme di ammalarsi nel frattempo) e una fascia oraria in cui i confinati potranno uscire domenica prossima. Misura che ha fatto storcere il naso a qualche costituzionalista: chi stabilirà, in futuro, cosa giustifica l’interruzione di una quarantena? Dubbio legittimo in un paese che ha affrontato la crisi pandemica e la campagna vaccinale con il minor grado di coercizione possibile.

    

Tornando alla crisi politica, António Costa, che governa dal 2015, aveva preparato una finanziaria tutto sommato coerente con le precedenti: maggiore progressività degli scaglioni Irpef, sostegno alle famiglie con figli e anche un aumento del salario minimo che, essendo fuori dalla legge di bilancio, è già entrato in vigore, portando a circa 700 euro uno stipendio che nel 2014, con la destra al governo e il piano triennale della Troika appena concluso, era sotto i 500. Il premier era sicuro che qualche sostegno a sinistra lo avrebbe trovato, tanto da escludere categoricamente qualsiasi richiesta di aiuto al Partito socialdemocratico, il maggior partito dell’opposizione di centrodestra, attualmente guidato dall’ex sindaco di Porto, Rui Rio, spesso accusato di essere troppo tenero con il governo in carica, ma uscito vittorioso anche dalla recente sfida interna delle primarie, dove affrontava l’eurodeputato Paulo Rangel.

    

A sinistra, intanto, non bisogna pensare a questa atipica alleanza come a un patto di coalizione “alla tedesca”, lungamente discusso, articolato e firmato. Una bozza di programma comune c’era stata nel primo governo Costa, quasi per imposizione dell’allora Presidente della Repubblica, Cavaco Silva, profondamente conservatore e timoroso dei comunisti al potere. Al contrario, dopo le elezioni del 2019, i partiti avevano optato per una “relazione aperta”. La pandemia avrebbe poi aggravato le difficoltà di dialogo.

   

Dialogo difficile non solo con il primo ministro, ma tra gli stessi partiti della sinistra radicale, dato che comunisti e Bloco de Esquerda (alleanza che, dalla fine degli anni ’90, racchiude un arcipelago di movimenti della sinistra alternativa anche al Pcp) si contendono una buona porzione di elettorato affine. Un vero tavolo comune non c’è mai stato, e quando Costa ha incassato il primo no da Catarina Martins, del BE, contava ancora di convincere i comunisti il giorno dopo. In fondo era andata così negli ultimi due anni. Quando però gli ha detto no anche il segretario del Pcp, Jerónimo de Sousa, era troppo tardi per riavvolgere il nastro. I nodi del contendere sono sempre gli stessi: a sinistra si chiedono salari più alti e più spesa pubblica, specie nella sanità. Per i socialisti resta fondamentale sia la linea di contenimento del debito, sia la volontà di non imporre per legge ulteriori aumenti salariali che la crescita economica, fortemente condizionata da una crisi pandemica dagli esiti ancora incerti, potrebbe non avallare. 

  

In attesa dei risultati di domenica sera, ci s’incolla ai sondaggi. Gli ultimi danno ancora un Ps in testa, ma già in pareggio tecnico con il Psd del “tenero” ma tenace Rio, mentre sarebbero in calo proprio Pcp e BE, insieme alla destra democristiana del Partito popolare. Balzerebbero invece in avanti i partiti della nuova destra, gli ultraliberali di Iniciativa liberal (fautori di una flat tax temperata) e il sovranista Chega, del salviniano André Ventura. Senza una maggioranza assoluta si riaprirà una caccia alle alleanze, stavolta a tutto campo.

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