Foto LaPresse di Phelan M. Ebenhack  

L'altro Trump. Ron DeSantis pensa e parla come l'ex presidente. Ma è più bravo

Stefano Pistolini

Prima The Donald lo sosteneva, ora lo teme. L’allievo apprende dal maestro e ora rischia di superarlo. Chi è davvero il governatore della Florida

È abbastanza grande la Florida per contenere due Trump? Macché: l’esiliato e l’aspirante, l’ex presidente Donald Trump, rinchiuso nella tenuta di Mar-a-Lago e il governatore dello Stato Ron DeSantis, spesso definiti due facce della stessa moneta, dopo aver fatto un pezzo di strada insieme, adesso sono entrati in rotta di collisione. Alle viste un traguardo dove c’è posto per uno solo: la Casa Bianca e il ritorno di un estremista repubblicano alla guida della nazione. 

 
DeSantis è un altro prodotto dell’errore connaturato alla vita politica di Trump: il germe del tradimento. Chi lo segue e si avvicina troppo a lui finisce per bruciarsi, se non scappa in tempo, magari per proseguire un percorso a distanza, ribadendo alcuni fondamenti del trumpismo così seducenti per tanta America. E’ quello che sta facendo Ron DeSantis, abbandonando la deferenza verso il vecchio ispiratore e rilasciando dichiarazioni sibilline: ora conta essere rieletto governatore a novembre. Poi si potrà parlare delle presidenziali 2024. Non ufficializza una candidatura, ma nemmeno la smentisce. E a Trump vengono i nervi: “Mi domando perché il ragazzo non dica chiaro che non correrà contro di me...”, si accalora in tv, rompendo la tregua e bollando DeSantis come un ingrato e poi come un tipo noioso, che non ha possibilità di batterlo. Ma tra gli analisti c’è chi sostiene che il 43enne governatore della Florida sia la più riuscita delle sue imitazioni, però con più intelligenza e disciplina. Un avversario da cui guardarsi.

 

Il 43enne governatore della Florida sembra la più riuscita delle  imitazioni di Trump, però con più intelligenza e disciplina

Identikit di Ron DeSantis. Nasce a Jacksonville, nord della Florida, città nuova e dinamica, terra degli ultimi arrivati nelle gerarchie economie dello Stato. Suo padre installa i rilevatori di preferenze Nielsen, sua madre è un infermiera. Da piccolo va matto per il baseball e gioca con ottimi risultati. Il primo step verso l’alto lo fa riuscendo a entrare a Yale, seppur presentandosi all’inizio dell’anno accademico in pantaloni corti, da ineducato ragazzotto del sud. E’ un tipo tutto baseball e libri di studio ed eccelle in entrambi i campi, diventando capitano della squadra universitaria e conseguendo una brillante laurea in Storia. Il passo successivo è la venerabile scuola di Legge a Harvard, a completamento di una formazione Ivy League che nei curriculum americani ha un peso determinante, tanto più se la politica è nella lista degli obbiettivi. Opta però per un periodo al servizio della nazione, e veste la divisa in posti che finiscono in grassetto nelle biografie, come Guantánamo e l’Iraq. Tornato in abiti civili viene nominato procuratore federale in Florida e procede alla rituale pubblicazione di un libro dal titolo ancor più rituale: “Dreams From Our Founding Fathers”, concentrato di neoconservatorismo che lo far notare dai repubblicani del Florida Tea Party. Finalmente nel 2012 si aggiudica, giovanissimo, un seggio al Congresso in un seggio di Jacksonville. E’ un volitivo giovane leone repubblicano, sebbene non contraddistinto da personalità memorabile. Convola a nozze con Casey Black, conduttrice di una tv locale che diventa la sua consigliera più ravvicinata, con tanto di ufficio al Campidoglio. Tre figli piccoli, l’ultimo nato nel marzo 2020. Se non è un pedigree maniacale questo… Una perfetta applicazione delle regole per l’allestimento del futuro candidato a qualcosa di grosso. 

 

Donald Trump adesso quando ne parla s’incacchia: “Ho aiutato Ron DeSantis come nessun’altro”. Perché è vero che, nel 2017, Trump vide in tv questo semisconosciuto membro del Congresso e se ne invaghì. DeSantis aveva tutto ciò che Trump apprezza in un politico: grinta, determinazione, scarsa attenzione alla prudenza e per di più era un suo ardente supporter. Risultato: sostegno presidenziale alla candidatura di DeSantis a governatore della Florida nel voto del 2018, sotto forma di quattrini e di consiglieri strategici. E l’allievo apprende dal maestro, a cominciare dalla onnipresenza nelle trasmissioni di Fox News, come il predecessore, stipando nel frattempo un tesoretto da 70 milioni di dollari che ora costituisce la base per avviare una futura campagna elettorale nazionale. DeSantis sconfigge di poco il quotato Andrew Gillum, ex rising star democratica, al termine di uno scontro disseminato di accuse di razzismo e il 9 gennaio 2019 giura da numero 1 del suo stato. Nel giro di pochi mesi poi, DeSantis sorprende tutti, affermando un’inattesa indipendenza dal libro mastro del partito, attraverso una serie di iniziative come l’assunzione di un consulente scientifico (il dottor Scott W. Atlas, ex- consigliere di Trump e titolare di teorie balzane, come l’inutilità delle mascherine in tempo di Covid-19), ma anche con lo stanziamento di cifre-record per la salvezza delle Everglades, le terre paludose nel cuore della Florida in emergenza ecologica, il rapido perdono concesso a quattro afroamericani ingiustamente condannati e la sorprendente revoca del divieto d’utilizzo della marijuana per scopi terapeutici. 

 

Dichiarandosi ultra aperturista e nemico del lockdown,  comincia a criticare l’iniziale gestione della pandemia da parte di Trump

Intanto anche in Florida la pandemia assume il centro della scena: DeSantis diviene tra i sostenitori del vaccino come antidoto primario alla diffusione del Covid e a inizio 2021 promuove la vaccinazione degli anziani residenti dello stato. Ma quando tocca ai più giovani, l’atteggiamento diviene cauto. Col passare dei mesi i repubblicani si stanno spostati sempre più a destra sulle issues della pandemia e DeSantis trae lezione dal Trump che rivendica il rapido avvento dei vaccini nel corso della campagna per le presidenziali, col risultato d’inimicarsi gli intransigenti del suo partito. Dichiarandosi ultra-aperturista e nemico di qualsiasi forma di lockdown, il neogovernatore comincia a criticare l’iniziale gestione della pandemia da parte di Trump. A differenza di molti colleghi, rifiuta di vaccinarsi davanti alla telecamera e si limita a comunicare di aver ricevuto nello scorso aprile la monodose Johnson & Johnson.

 

Lo scenario si modifica: Biden batte Trump, che non accetta la sconfitta e organizza il fronte di resistenza, culminato nell’attacco al Campidoglio del 6 gennaio. DeSantis non è particolarmente partecipe nelle accuse di brogli elettorali sollevate da Trump, ma si dedica a proporre cambiamenti relativi al diritto di voto nella sua Florida, con l’obbiettivo di limitare il voto postale nel quale, per la prima volta, i democratici hanno surclassato i repubblicani. Cala il gelo tra DeSantis e il nuovo, ingombrante residente della Florida, dal momento che Trump ha scelto Mar-a-Lago come momentanea base operativa. E ancora il Covid diviene il terreno dello scontro. Trump attacca gli “invertebrati politici” che tengono nascosta la propria condotta vaccinale, nel timore di inimicarsi i no-vax. Guarda caso DeSantis, a differenza dell’ex presidente, si rifiuta di confermare di aver ricevuto la dose booster del vaccino. Trump insiste e fa sapere all’America d’aver fatto la terza dose. Poi punta DeSantis, mettendolo tra i politici “insensati” che fanno melina sulla questione, temendo il contraccolpo tra gli scettici. A dicembre DeSantis va in tv e dichiara: “Sono vaccinato”, ma quando gli chiedono della terza dose non risponde, argomentando che lui, governatore di uno stato, crede che vaccini e booster siano “scelte individuali”. Nel successivo discorso sullo “stato dello stato” non menziona la parola “vaccino”, dilungandosi nel discettare della Florida come dello “stato più libero d’America, rifugio per coloro che non sopportano gli obblighi, i mandati e le restrizioni”. Proprio la Florida però finisce sotto attacco Covid, con un’ondata record d’infezioni e un forte aumento di ricoveri tra i non vaccinati. I casi in Florida si quintuplicano nelle ultime settimane, i ricoveri più che raddoppiano, lo stato ha una media di 58 mila positivi al giorno e 70 vittime, al terzo posto nella nazione, dopo California e Texas. DeSantis tiene duro, e si rifiuta di dare il buon esempio: in tv arriva ad affermare che “con Omicron le vaccinazioni non prevengono l’infezione”. Il fatto è che la base repubblicana più hardcore ormai è apertamente anti-vaccino e ancor più anti-booster. DeSantis si adegua e decide che propagandare i vaccini sia perdente. Ordinario cinismo da posizionamento politico: i No vax costituiscono una parte importante della sua base e nelle ultime settimane DeSantis arriva a opporsi alla vaccinazione obbligatoria per i dipendenti pubblici e vieta agli armatori delle navi da crociera di richiedere prova di vaccinazione ai clienti. Lanciando il sito web per la rielezione a governatore, dichiara: “So che i cittadini guardano a noi repubblicani come a quelli capaci di portare a termine le cose e di reagire. E’ ciò che facciamo sempre, con le unghie e coi denti: io non aspetto che le cose accadano”. Quanto al Covid aggiunge: “Ne siamo fuori”. Al governo federale chiede solo più trattamenti con anticorpi: “Dato il profilo di Omicron, non è giustificabile lasciarsi sopraffare dalla paura”. 

 

I suoi detrattori adesso lo chiamano “Death Santis”. Gli rimproverano di concentrarsi su falsi problemi per la Florida

 

I suoi detrattori adesso lo chiamano “Death Santis”. Gli rimproverano di concentrarsi su falsi problemi per la Florida: “Oltre al Covid, nello Stato abbiamo questioni serie come una grave crisi abitativa per gli aumenti esorbitanti degli affitti. E una crisi sanitaria con 22mila disabili non assistiti a dovere. Ma DeSantis ignora questi temi e si dedica al dibattito sulla Critical Race Theory nelle scuole”, dice un esponente democratico dello Stato. In effetti se c’è una questione che appassiona il governatore è quella relativa all’approvazione in Florida di una misura che consenta ai genitori di citare in giudizio i distretti scolastici dove si prastichino insegnamenti basate sulla Critical Race Theory, la sistematizzazione dello studio sul razzismo trasformatosi in guerra culturale americana nel 2021. La Critical Race Theory è una struttura analitica sviluppata da alcuni studiosi di diritto convinti che la razza e il razzismo siano radicati nella legge e nelle istituzioni americane, anche dopo la fine della schiavitù. Una cospicua percentuale di repubblicani oggi protesta che venga istillata nei ragazzi bianchi la convinzione d’essere gli ultimi eredi di una stirpe di oppressori, dipingendo gli studenti di colore come perenni vittime del sistema. DeSantis ha definito la Critical Race Theory come un’ideologia “marxista”, sospinta dai democratici per indottrinare gli studenti. E non perde occasione per ammiccare a destra, proponendo interventi legislativi atti a impedire lezioni ispirate a questa teoria.

 
Di nuovo tutto per il miglior posizionamento possibile, si direbbe. Del resto nei sondaggi recenti DeSantis ha solidi numeri di approvazione e si dirige alla rielezione nel 2022. I conservatori lo lodano per aver mantenuto lo Stato ampiamente aperto agli affari in tempo di Covid e il suo stile di leadership viene ora etichettato come “trumpismo competente”

 

In un’elezione bizzarra come promette d’essere quella del 2024, avrà delle chance. Con un ultimo ostacolo da superare: è un “italiano”

 

Intanto Trump non ha ancora ufficializzato la candidatura alla nomination. Tanti repubblicani fanno sapere che quell’annuncio coinciderebbe col loro ritiro dalla corsa e tra questi c’è l’altro purosangue della politica floridiana, Marco Rubio. Ma DeSantis si guarda bene dal tirarsi fuori della contesa. “Lo batterei come batterei tutti gli altri”, chiosa il 45esimo presidente. DeSantis teme Trump? Probabile. Tutti i repubblicani lo temono. Ma la domanda più pertinente è: Trump teme DeSantis? Forse dovrebbe. L’analista David Frum sull’Atlantic scrive: “DeSantis pratica una efficace forma di judo politico, mettendo in atto provocazioni giudiziose ma limitate, seguite da abili ritirate verso il centro”. A questo punto è ovvio che DeSantis sarebbe un eccellente candidato 2024 proprio nella corsia di Trump, se Trump non si candidasse. Ma se il modello originale si concederà un altro giro di pista, c’è spazio per le imitazioni? Il modello di quest’anno ha chance contro il modello del glorioso passato? Trump ormai ha capito l’antifona. Gli è stato chiesto se considererebbe DeSantis come compagno di ticket nel 2024 e lui ha risposto positivamente, riconoscendo la popolarità del governatore, ma riaffermando lo status di gran visir della Vecchia America: “Ron? Un ragazzo formidabile! Eccellente come numero 2”. L’ex-presidente non concede a DeSantis lo status di rivale: “L’ho sostenuto e lui è partito a razzo. Ma all’origine di Ron ci sono io”. Ann Coulter editorialista-star della destra americana, un tempo pro-Trump, ora acerrima nemica dell’ex- presidente, la mette così: “Nel 2016 DeSantis era un leale sostenitore di Trump. Poi ha capito che è un bugiardo e un truffatore inveterato”. Concludendo: “Adesso Trump è fregato”.

  

Un parere? DeSantis a prima vista non ha il physique du role da presidente degli Stati Uniti. Troppo normale, poco carismatico, un tono da secondo violino. Ma ha delle frecce al suo arco: prima di tutto ha tempo per studiare e si è dimostrato uno studente disciplinato e capace di ottimizzare gli insegnamenti. Inoltre quel suo essere un volto nella folla potrebbe venir apprezzato dall’America di provincia a cui si rivolge, magari logorata dall’esperienza con l’urlatore seriale. Potrebbe piacere la sua provenienza dal basso, dal ventre della nazione, la sua propensione a farsi capobastone delle folle arrabbiate e la sua capacità di renderle televisivamente presentabili. In un’elezione bizzarra come promette d’essere quella del 2024, avrà delle chance. Con un ultimo ostacolo da superare: è un “italiano”, radici avellinesi. Mai successo che negli oscuri consessi del potere dell’America conservatrice  si sia dato così tanto spazio a un paisà. Ma questa di oggi, non facciamo che ripeterlo a noi stessi per convincercene, è davvero un’altra America.

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