L'evoluzione in Venezuela secondo Freddy Superlano

Maurizio Stefanini

Il vice ministro degli Esteri russo Sergei Rjakbov minaccia di fare del Venezuela un fronte della nuova Guerra fredda. Nel frattempo Maduro riceve un duro colpo di immagine per una sconfitta elettorale di forte impatto psicologico proprio nello stato natale di Hugo Chávez

Il 21 novembre alle elezioni amministrative il blocco governativo aveva ottenuto 19 governatori su 23, ma in un contesto di forte assenteismo e di divisione dell’opposizione, oltre che di manipolazioni e pressioni di vario tipo. Al regime non è bastato, e ha annullato il risultato con cui a Barinas il candidato dell’opposizione Freddy Superlano aveva ottenuto il 37,6 per cento dei voti, contro il 37,21 di Argenis Chávez fratello di Hugo, e diventato governatore dopo il padre e un fratello. Invalidati prima Superlano, poi sua moglie, poi un altro candidato, l’opposizione ha infine presentato Sergio Garrido. Il regime gli ha contrapposto Jorge Arreaza, ex ministro degli Esteri e genero di Chávez, con un appoggio massiccio andato fino all’invio di ricercatissime autobotti di carburante. Domenica 9 gennaio non solo l’opposizione ha vinto di nuovo, ma il distacco è aumentato a ben 14 punti: il 55,36 per cento, contro il 41,27 di Arreaza. “Una vittoria che è stata possibile grazie al consenso, all'organizzazione, alla mobilitazione e alla volontà dei barinesi che volevano un cambio, dopo 22 anni di malgoverno chavista”, commenta con il Foglio Freddy Superlano.

 

Le percentuali sono quasi le stesse di quella grande vittoria dell’opposizione alle politiche del 2015, che fu però vanificata dal golpe istituzionale con cui Maduro tolse i poteri all’Assemblea Nazionale. “Il Consiglio Nazionale Elettorale è sequestrato dal regime”, ricorda Superlano. E paventa quel “protettorato che potrebbero imporre per togliere competenze e tagliare risorse al fine di ostacolare l’amministrazione dell’opposizione, come hanno già fatto ogni volta che l’opposizione ha vinto in uno stato”. Maduro ha promesso che non sarebbe stato più fatto. “Maduro sempre se ne esce con discorsi in cui promette che manterrà qualcosa e in realtà non lo fa mai, è pura chiacchiera”, denuncia Superlano. “Al suo regime non conviene dare spazi di potere alla dirigenza dell’opposizione a nessun livello. Abbiamo visto come hanno sabotato i lavori dell’Assemblea Nazionale”.

 

Il contesto è quello in cui il vice ministro degli Esteri russo Sergei Rjakbov minaccia di fare del Venezuela un fronte della nuova Guerra fredda: secondo il New York Times, addirittura con armi nucleari. E il consigliere alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti Jake Sullivan promette nel caso “risposte decisive”. Sia il governo di Caracas che quello dell’Avana sono rimasti in silenzio, malgrado le proteste arrivate sia dall’opposizione venezuelana che dal dissenso cubano. L’impressione è di un evidente imbarazzo. Ma Manuel Cristopher, ex direttore del Servicio Bolivariano de Inteligencia Nacional (Sebin) ora passato all’opposizione, testimonia che la Russia in Venezuela due basi militari le avrebbe già: una  nella sede della quarantunesima Brigata a Valencia; l’altra a Manzanares.

 

Maduro sostiene che la super-inflazione è finita, e che anche la produzione di petrolio sarebbe in ripresa. Nel primo risultato avrebbe avuto un ruolo la crescente dollarizzazione, e nel secondo l’aiuto dell’Iran.  Ma se pure il 686,24 per cento di inflazione del 2021 è sotto  il 130.060 del 2018 o il 2.968,8 del 2020 resta sempre la più alta del mondo, secondo Bloomberg le cifre del petrolio sono truccate, e secondo l’Onu il Venezuela resterà anche l’anno prossimo il più grave problema di rifugiati del mondo.  Al confine occidentale gruppi guerriglieri colombiani invitati dal regime e scappati di mano non solo hanno iniziato a combattere contro le autorità venezuelane per il controllo del territorio, ma si stanno anche ormai sparando tra di loro, tant’è che l’esercito ha inviato rinforzi nella zona.

 

Già sostenitori di Chávez, i comunisti venezuelani sono ormai scesi sul sentiero di guerra contro Maduro, e dopo che il loro militante José Urbina è stato ucciso dalla polizia hanno annunciato che raccoglieranno firme per chiedere un referendum revocatorio contro di lui. La procedura per un revocatorio è stata comunque ora avviata dal Consiglio Nazionale Elettorale, con mossa vista però da molti come ambigua. Chi la intraprende finirebbe infatti per riconoscere la contestata legittimità della presidenza Maduro, al rischio di vedersi poi comunque il processo bloccato.

 

Ma anche all’interno del mainstream chavista è sempre più evidente la faida tra l’ala di Maduro e quella del numero due Diosdado Cabello.  Proprio alla luce di questa situazione ha suscitato sorpresa che Arreaza invece che invocare nuovi riconteggi e ricorsi abbia subito riconosciuto la sconfitta. “Sappiamo che nel chavismo c’è una forte frattura anche per via di procedimenti giudiziali in corso a livello internazionale, e non è un segreto l’esistenza di un settore che vorrebbe negoziare per salvarsi. Per questo l’atteggiamento di Arreaza fa pensare”, conferma Superlano. “Una cosa interessante da osservare è che Arreaza appartiene a quel piccolo gruppo di esponenti del regime che non è stato finora colpito né da sanzioni, né da procedimenti internazionali. Un caso?”.

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