Il neopresidente cileno Gabriel Boric (foto EPA)

oltre il cile

La nuova sinistra sudamericana vuole arginare il caudillismo anti democratico

Maurizio Stefanini

Per la sinistra latino-americana cercare di isolare il virus stalinista è vitale: sia per non dare giustificazione a paralleli rigurgiti autoritari a destra; sia per non far scappare un elettorato moderato essenziale per vincere. Ma ci sono delle eccezioni (come Lula)

A maggio, quando il presidente venezuelano Nicolás Maduro scrisse su Twitter che l’avanzata della coalizione di sinistra Apruebo Dignidad alle elezioni locali in Cile e della Costituente rappresentava “un contundente rifiuto al neoliberalismo selvaggio”,  Gabriel Boric gli rispose: “E anche un mandato di rispetto incondizionato ai diritti umani. Qualcosa rispetto a cui tanto Sebastián Piñera come lei non siete stati all’altezza”.  Esponente di un partito che si chiama Rivoluzione democratica e che è nato dalle proteste del 2011, Boric, eletto domenica presidente del Cile, il 18 luglio alle primarie di Apruebo Dignidad sconfisse il comunista Daniel Jadue. Anche lo stesso Jadue prese una posizione netta, quando la dirigenza del suo partito si congratulò per la rielezione in Nicaragua di Daniel Ortega, che aveva messo in galera o costretto all’esilio tutti i suoi avversari più autorevoli. Tra i molti che avevano protestato, assieme alla iconica ex leader studentesca cilena Camila Vallejo, anche lui: “Mai sarò d’accordo con regimi che perseguitano e incarcerano i loro oppositori”.

Adesso che Boric è stato eletto presidente, gli sono arrivati nuovi auguri dal presidente venezuelano Maduro, che ha salutato “il popolo di Salvador Allende e di Victor Jara per la sua contundente vittoria sul fascismo”. Anche per questo, è inesatto inquadrare la vittoria di Boric in uno scenario di nuova “marea rosa” come quella che riempì l’America latina di governi di sinistra nella prima decade del millennio. Prima di tutto, perché in realtà in America Latina in questo momento più che sinistra o destra sta vincendo chi non governa. Dunque la sinistra radicale alle presidenziali in Cile, Perù e Honduras, ma le opposizioni a governi di sinistra alle elezioni di metà mandato in Messico e Argentina e a quelle locali in Bolivia. Che forze governative di sinistra vincano solo in Venezuela e Nicaragua, dove il gioco democratico è stato completamente svuotato, indica l’altro problema per cui la stessa sinistra latino-americana si sta spaccando tra chi continua a ragionare in chiave sinistra contro destra e chi invece inizia a considerare più importante il divario tra democrazia e dittatura.

Tra la gente che Ortega ha mandato in galera o in esilio ci sono nomi storici del sandinismo come il comandante guerrigliero Hugo Torres, che rischiò la pelle per liberarlo dal carcere di Somoza;  Carlos Fernando Chamorro, che fu direttore del giornale sandinista; lo scrittore Sergio Ramírez, che fu suo vicepresidente. E la destituzione di Maduro è stata ora chiesta da una Piattaforma dei Cittadini in Difesa della Costituzione di cui sono promotori veri ex ministri di Hugo Chávez: Oly Angélica Millán (Economia) Gustavo Adolfo Márquez Marín (Industria e Commercio), Héctor Augusto Navarro Díaz (Energia Elettrica, Istruzione, Scienza e Tecnologia) Ana Elisa Osorio Granado (Ambiente).

Anche sul fronte cubano c’è la novità di Yunior García, il drammaturgo che dopo essere stato un leader delle ultime proteste si è rifugito a Madrid, ospite del primo ministro socialista Pedro Sánchez. Yunior García ha infatti detto di essere di sinistra e di volere parlare alla sinistra, in un modo che ha fatto arrabbiare ambienti dell’esilio cubano che si collocano invece a destra, ma che ha fatto anche lanciare un allarme al presidente cubano Miguel Díaz-Canel, che ha parlato di “Miamizzazione di Madrid”.

Insomma, nel momento in cui il virus stalinista e caudillista torna, per la sinistra latino-americana cercare di isolarlo è vitale: sia per non dare giustificazione a paralleli rigurgiti autoritari a destra; sia per non far scappare un elettorato moderato essenziale per vincere. Però, se l’ex presidente “tupamaro” dell’Uruguay Pepe Mujica da almeno tre anni insiste che Ortega è “uscito di senno”, il brasiliano Lula, dopo averlo a sua volta consigliato a non ritenersi “eterno”, ha rilasciato una intervista al País che è stata vista come una  buccia di banana. “Se Angela Merkel può essere cancelliere per 16 anni, perché non può essere presidente Daniel Ortega?”. E alla ovvia osservazione dell’intervistatore, “perché non mette i leader oppositori in galera?”: “Se lo ha fatto, come hanno fatto con me, ha fatto male”. Anche su Cuba ha detto che il problema è l’embargo e ha paragonato la repressione a quella di proteste violente in altri paesi. Insomma, certe cose stanno cambiando, ma un certo richiamo della foresta c’è ancora. 

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