L'occidente ancora sveglio

Daniele Raineri

Un tribunale di Coblenza stabilisce che un torturatore di stato siriano non può camminare impunito in Germania. È un principio di civiltà con riflessi su come vediamo la violenza. È una sentenza storica

La sentenza che ieri a Coblenza, in Germania, ha condannato all’ergastolo un colonnello dell’intelligence siriana per cinquantotto casi di omicidio, torture e stupro contro prigionieri politici detenuti in una prigione della Siria è importante per molti motivi. La novità assoluta è che stabilisce un principio di giurisdizione universale dei tribunali tedeschi, che possono processare e condannare un imputato per crimini contro l’umanità a prescindere dal luogo dove sono stati commessi questi crimini. Il giudice tedesco nel caso specifico trova intollerabile che un ufficiale delle famigerate mukhabarat siriane (le agenzie d’intelligence, che agiscono come manovalanza fidata nella repressione del dissenso popolare contro il dittatore Bashar el Assad) che è responsabile di violenze efferate contro i detenuti possa ritenersi al di sopra della legge e immune soltanto perché si è spostato dalla Siria alla Germania. Ma il principio generale vale per i crimini contro l’umanità commessi ovunque. In campo legale è una svolta storica. Le autorità tedesche non sono andate a cercare l’uomo, Anwar Raslan, ma hanno agito perché l’ufficiale aveva lasciato la Siria e si era spostato in Germania come rifugiato approfittando della politica dell’accoglienza decisa nel 2015 dall’allora cancelliera Angela Merkel. E’ stato riconosciuto da una delle sue vittime, un avvocato siriano che come lui ha trovato rifugio in Germania. Da lì l’arresto e il processo. 

 

Torniamo alla sentenza, ecco un corollario interessante. La condanna getta un po’ di luce su uno degli aspetti più ignorati, in modo grottesco, di questi anni di guerre in medio oriente: non esiste soltanto la violenza di stampo jihadista, esiste anche una violenza governativa e se vogliamo laica che viene esercitata con tutta la forza degli apparati di stato, in questo caso dalle forze di Assad. Questa violenza di regime ci impressiona meno perché le mukhabarat, al contrario dello Stato islamico che produce video di propaganda a base di esecuzioni orrende, tendono a compiere queste atrocità in segreto o comunque mantengono un basso profilo. Ma sappiamo che i cinquantotto casi di omicidio, torture e stupro imputati a Raslan sono soltanto un piccolo campione delle violenze sistematiche compiute in questi anni e ancora in corso contro decine di migliaia di prigionieri. Il problema è di percezione: i fanatici del jihad si riprendono in tuta nera mentre decapitano ostaggi, fanno di tutto per sembrare diversi e altri rispetto a noi; gli ufficiali responsabili della repressione indossano giacca e cravatta e si fanno vedere a bordo piscina al Four Seasons di Damasco, fanno di tutto per sembrare simili a noi. Inoltre i fanatici colpiscono in occidente appena possono, con stragi orrende nelle metropolitane, per strada e ai concerti, mentre gli uomini dell’apparato di sicurezza di Assad agiscono all’interno dei confini nazionali. Dal punto di vista del bilancio finale, però, la violenza sui siriani che sia compiuta dai fanatici oppure dai carnefici di Assad è sempre violenza. Questa sentenza in Germania contro l’ufficiale siriano, come le indagini per l’omicidio di Giulio Regeni contro ufficiali egiziani, ci racconta un aspetto letale del medio oriente che si tende a trascurare. 

 

Un altro corollario è questo. Da anni si discute della possibile normalizzazione dei rapporti con Bashar el Assad. E’ ovvio che grazie all’intervento di Iran e Russia il dittatore ha vinto la guerra civile e che esercita un controllo brutale sulla Siria post-bellica – o meglio: su una vasta porzione, quella più abitabile e produttiva. In questi anni ha accettato di ordinare atrocità su scala industriale contro i civili, a partire dall’uso di armi chimiche per finire con gli stupri di massa, pur di non essere costretto a cedere l’incarico di presidente e continuare a conservare il potere per diritto dinastico. In molti sostengono che è necessario scendere a patti con la realtà: con Assad è inevitabile trattare, non può essere escluso dalla comunità internazionale per sempre. La sentenza di Coblenza è in collisione con questo processo di normalizzazione: Assad e i suoi generali sono i diretti superiori del colonnello che è appena finito all’ergastolo e se è stato possibile dimostrare la sua colpevolezza allora per proprietà transitiva è possibile anche incriminare Assad. E come è possibile per un governo europeo normalizzare le relazioni con qualcuno che potrebbe finire all’ergastolo se viaggiasse in Europa? C’è, come minimo, un effetto inibente.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)