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Perché il presidente lituano considera “un errore” la difesa di Taiwan

Giulia Pompili

Quello della Lituania sta diventando un caso di scuola nello scontro tra paesi occidentali e il cosiddetto “modello cinese”. Un esempio che probabilmente spingerà altri paesi a non infastidire mai la Cina per paura di conseguenze. In un’intervista con la radio Ziniu Radijas, l’altro ieri il presidente lituano Gitanas Nauseda ha detto che “è stato un errore” aprire a Vilnius un ufficio di rappresentanza di Taipei chiamandolo “Ufficio di rappresentanza di Taiwan”. “Penso che non sia stato un errore l’apertura in sé dell’ufficio, ma il suo nome, che non è stato coordinato con me”, ha detto il presidente, smentito poche ore dopo dal ministro degli Esteri Gabrielius Landsbergis che ha confermato che tutte le decisioni “sono state prese con la presidenza”. “Il nome dell’ufficio è diventato un fattore cruciale”, ha detto Nauseda, “ha avuto un impatto molto forte sulle nostre relazioni con la Cina e ora dobbiamo fare i conti con le conseguenze”. Ha poi aggiunto: “Sono state prese misure non convenzionali contro la Lituania e dobbiamo essere attivi e segnalare molto chiaramente all’Unione europea che si tratta di un attacco contro uno dei paesi dell’Ue”.

 

L’isola di Taiwan, che la Cina ritiene parte del suo territorio e che da anni subisce l’isolamento diplomatico e il bullismo di Pechino, pur non essendo riconosciuta formalmente ha diversi uffici di rappresentanza nel resto del mondo (compresa l’Italia) che svolgono funzioni diplomatiche. A maggio del 2021 la Lituania si è sfilata dal progetto cinese 17+1 (una sorta di piattaforma diplomatica per l’Asia centrale e l’Europa dell’est), e la scorsa estate il governo guidato da Ingrida Simonyte ha deciso di non adeguarsi al correttismo linguistico imposto dalla diplomazia cinese, che vieta l’uso della parola “Taiwan”, troppo legata alla sovranità del paese, e preferisce l’uso di “Taipei” nelle relazioni e negli eventi internazionali (anche ai Giochi olimpici Taiwan gareggia sotto al nome di “Taipei cinese”, e non di “Taiwan”). L’apertura dell’ufficio di Taiwan serviva a mandare un messaggio: non ci pieghiamo all’ipocrisia di considerare Taipei una vostra provincia.

 

Le conseguenze sono state molto dure: Pechino ha risposto con un blocco economico contro la piccola Lituania, che era previsto, ma adesso le conseguenze di quel boicottaggio stanno arrivando anche ad altri paesi dell’Ue, come ha scritto Politico qualche settimana fa: Francia, Germania, Svezia, tutti i paesi che dipendono dalla catena di approvvigionamento lituana stanno avendo problemi con le esportazioni in Cina. Un mese fa la Commissione europea ha proposto un nuovo pacchetto di strumenti “anti coercizione economica”, disegnati proprio per evitare che i problemi politici con paesi extra Ue finiscano per diventare problemi economici e commerciali. Ma non tutti i paesi membri sono convinti del sistema, che permetterebbe all’Ue di imporre sanzioni e controblocchi in caso di coercizione economica da parte di una potenza straniera contro un paese membro: nessuno ha voglia di litigare con Pechino, e infatti finora nessun alto rappresentante europeo si è esposto in difesa della Lituania.

 

Anzi, scriveva ieri Laurence Norman sul Wall Street Journal, qualche diplomatico ha criticato la decisione di Vilnius, che resta isolata. Quando l’Amministrazione Joe Biden cerca alleati nella sua campagna anti-Cina, è alla Lituania che guarda il resto del mondo. Al commissario europeo per il commercio Valdis Dombrovskis che minaccia di denunciare la Cina all’Organizzazione mondiale del commercio – tutti sanno che ci vogliono anni per una sentenza, che poi Pechino può ignorare. E al presidente lituano che cambia idea improvvisamente e dice: abbiamo sbagliato. Tra i pochi ad aver apprezzato le sue parole c’è naturalmente il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Wang Wenbin, che ieri ha detto: “Riconoscere un proprio errore è un primo passo giusto da compiere, ma è ancora più importante intraprendere azioni per correggere quell’errore”. A forza di pressioni, Vilnius potrebbe cambiare quel nome davvero.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.