Amici da separare

Dividere Xi da Putin costa

Giulia Pompili

Così l’occidente vuole spezzare l’asse che lo spaventa di più: quello tra Russia e Cina

Quando a metà dicembre il leader cinese Xi Jinping e il presidente russo Vladimir Putin si sono incontrati virtualmente per il loro trentasettesimo summit sin dal 2013, l’atmosfera era quella di due vecchi amici che parlano male dei nemici in comune. Cina e Russia, pur non avendo un’alleanza formale, hanno costruito negli ultimi anni un’intesa inedita, fatta di esercitazioni militari congiunte, solidarietà, accesso privilegiato ai rispettivi mercati, cooperazione scientifica e tecnologica. Xi Jinping ha detto che i due paesi si “sostengono a vicenda su questioni che riguardano gli interessi fondamentali l’uno dell'altro e la salvaguardia della dignità di entrambi”, e Putin ha replicato che questa amicizia “è un esempio di relazioni bilaterali del Ventunesimo secolo”. In effetti, le due potenze euroasiatiche hanno diverse cose in comune e interessi ideologici affini: un nuovo ordine mondiale non a guida americana, dare priorità al principio di non interferenza negli affari interni e alle questioni di sovranità nazionale, hanno particolari definizioni per espressioni come “diritti umani” e di “democrazia”, fanno un uso disinvolto del nazionalismo e della propaganda, vogliono che l’America perda il suo primato d’influenza.  

 

Niente spaventa di più la comunità internazionale occidentale dell’amicizia fra Russia e Cina. Il contenimento di Pechino come potenza militare, tecnologica ed economica è ormai da qualche anno la priorità della politica americana e dei suoi alleati. Il presidente Joe Biden non ha fatto altro che ripeterlo da quando è arrivato alla Casa Bianca. Ma ancora più spaventoso è un eventuale asse di potenze ostili guidato dalla Cina. E’ anche per questo che una delle strategie di cui si discute più spesso ultimamente, sia a Washington sia tra gli alleati, è quella di allontanare Mosca da Pechino. Ma come si fa a portare la Russia dalla propria parte? Facendo concessioni politiche a Putin oppure aspettando che l’alleanza, basata più su interessi comuni che su basi valoriali, si rompa. 

 

La prima opzione è un “classico logico della realpolitik”, ha scritto sul Washington Post Michael McFaul, ex ambasciatore americano in Russia. Come Richard Nixon riuscì ad allontanare la Repubblica popolare cinese dall’Urss durante la Guerra fredda, così l’America contemporanea dovrebbe evitare che l’intesa tra Pechino e Mosca di oggi si intensifichi ancora di più riavvicinandosi alla Russia. Eppure secondo McFaul questa strategia “non funzionerà oggi e, anche se funzionasse, non produrrebbe gli stessi benefici del secolo scorso”. Perché una delle condizioni fondamentali che portò al reclutamento di Pechino nell’alleanza anti Urss era stata la crisi sino-sovietica. La rottura del movimento comunista internazionale, la polemica contro il “revisionismo sovietico” dei maoisti, la breve guerra sul confine tra Russia e Cina contribuirono a costruire l’immagine di una Russia ostile all’ascesa cinese – nell’ottobre del 1969 i cinesi erano così preoccupati di un eventuale attacco nucleare sovietico che per un periodo Mao si rifugiò fuori Pechino. Questo sentimento di scarsa fiducia e timore resiste anche oggi. Il 74 per cento dei russi guarda con favore alla Cina, ma secondo diversi osservatori tra i cinesi non c’è la stessa fiducia nei confronti dei russi. Di mezzo ci sono una diversa interpretazione del socialismo ma anche questioni territoriali: a metà dell’Ottocento la Cina fu costretta a cedere parti del suo territorio alla Russia, compresa Valdivostok, e ogni volta che si parla della città gli storici nazionalisti cinesi chiedono la sua riconsegna a Pechino. E poi c’è il sorpasso cinese, soprattutto in Asia centrale, dell’influenza sui paesi che un tempo erano legati a Mosca. 

 

E’ su questa competizione e ostilità che che vuole puntare tutto l’Amministrazione Biden. “Washington dovrebbe aiutare la Russia a divorziare da un brutto matrimonio”, ha scritto su Foreign Affairs Charles Kupchan, senior fellow al Council on Foreign Relations. Nel 1980, fu considerato un grande successo diplomatico per l’America aver convinto la Cina a partecipare al boicottaggio delle Olimpiadi di Mosca, in protesta contro l’invasione dell’Afghanistan da parte dei sovietici. Quattro anni dopo, il sostegno della Cina fu ancora più evidente quando partecipò alle Olimpiadi di Los Angeles, nonostante tutto il blocco comunista avesse deciso di contro-boicottare i Giochi americani. Vladimir Putin ha ripetuto più volte, negli ultimi giorni, che lui sarà presente alle Olimpiadi invernali di Pechino, quelle che si apriranno a febbraio e che Biden boicotterà, seppur diplomaticamente. Il timore è che per rompere l’alleanza tra Cina e Russia il costo che dovrà pagare l’America sarà eccessivo. 

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.