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La democrazia è un sistema coraggioso che convive con il rischio

Micol Flammini

La libertà, i green pass, i proverbi russi sull’America e il pacifismo di Angela Merkel.  Appuntamento romano con l’intellettuale Adam Michnik

Adam Michnik è contento di mostrare il green pass in Italia, dice che in Polonia non sarebbe possibile, se qualcuno lo chiedesse, si beccherebbe del fascista. E’ soltanto una delle distorsioni del concetto di libertà, con il quale i partiti illiberali, come il PiS, che governa la Polonia dal 2015,  hanno imparato a giocare durante la pandemia. Michnik è un uomo che la libertà  l’ha cercata, l’ha voluta, l’ha raccontata, e le ha consacrato un giornale sul quale venissero dibattute le idee della Polonia che si liberava della dittatura, la Gazeta Wyborcza. E’ un giornalista, ha fatto molta politica, e che cosa sia una una dittatura Michnik lo sa bene, perché l’ha combattuta quando a Varsavia c’era un regime, che lo ha anche imprigionato perché lo riteneva una minaccia. Quindi quando dice che la democrazia è in pericolo non si può non prestargli attenzione. “Per sua natura la democrazia è sempre in pericolo – dice al Foglio – perché è un sistema più attaccabile: non caccia i suoi nemici, ci convive, ci vuole più coraggio. Questo è anche un momento particolare per le democrazie, ovunque nel mondo ci sono esempi che vanno in senso contrario, dalla Russia alla Cina, ma in America e anche Europa bisogna stare attenti. Basta guardare Ungheria e Polonia: ora la Polonia è un cocktail molotov”. I migranti lungo il confine, uno stato di emergenza usato come pretesto per limitare la libertà di stampa e soprattutto un governo che dal 2015 smonta lo stato di diritto, con la pretesa di voler comunque rimanere dentro l’Unione europea. “Bisogna però sempre fare attenzione a una cosa importante, quando la democrazia è a rischio, sono i cittadini a doverla difendere, curare, sollevare”. 

La democrazia e la sua difesa sono anche uno dei temi principali del libro che l’ex premier polacco Donald Tusk e la giornalista americana Anne Applebaum hanno appena pubblicato in Polonia con il titolo “Wybor”, la scelta. Al centro del libro c’è la Polonia divisa a metà, ma anche la Polonia come specchio del mondo. I mali che a Varsavia sono tanto visibili vivono sotto traccia anche nelle nostre democrazie. Le divisioni della Polonia sono l’eredità di un muro caduto ma che con il tempo si è ricostruito. Nel libro, Tusk scrive che prima della fine dell’Unione sovietica, il mondo era diviso in due ed era tutto più semplice: da una parte c’era la libertà, dall’altra la dittatura. “Tusk ha ragione, ma non del tutto, perché anche quel mondo così diviso al suo interno aveva le sue sfumature. Trent’anni fa è stata annunciata la caduta dell’Unione sovietica: me lo ricordo bene quel giorno. Ricordo il senso di felicità che provai, scrissi un commento per la Gazeta Wyborcza. Dopo la sconfitta di Hitler, è stata la più grande fortuna del ventesimo secolo. Le divisioni tuttavia rimangono, e adesso in quelle nazioni che stanno tra la Russia e l’Ue convivono strette tante crisi del nostro tempo, che  stanno scoppiando tutte insieme”. 

In Bielorussia, la dittatura di Aljaksandr Lukashenka è diventata un problema internazionale e si è trasformata in un’enorme prigione in cui il dissenso vero o immaginario viene represso. In Ucraina, i confini si fanno sempre più friabili e gli abitanti vivono con la paura di un’invasione da parte di Mosca. Sembrano storie antiche, da oltre cortina, invece sono le storie che ci raccontano che tanto del mondo che veniva giù trent’anni fa è ancora lì. “Putin ha rimesso addosso alla Russia i suoi vecchi panni”.

L’Ue quei problemi che vengono dai vicini dell’est li sente tutti e gli scossoni sono amplificati dallo smarrimento che prova per l’allontanamento dell’America, sempre più impaziente di dedicarsi alla sfida che più la interessa: la Cina. La crisi in Ucraina, per il presidente Joe Biden sembra una questione che è ansioso di chiudere in fretta, anche non qualche concessione a Putin. L’importante è chiuderla. “Ci si chiede se abbia ancora senso fidarsi dell’America, sembra un paradosso, ma la risposta sta in un proverbio russo: fidati, ma controlla, doverjaj, no proverjaj. Non possiamo fare a meno degli Stati Uniti, ma in questo momento l’America non è più in grado di essere un modello. Il modello occidentale ha perso di attrattiva perché ha perso vitalità ed energia. Ma anche quello russo non è più un modello, è in crisi. Per gli autocrati ora è la Cina che traccia la strada da seguire”.   

Si tende spesso a vedere il partito Fidesz di Orbán e il PiS di Kaczynski come partiti gemelli, nel libro, Tusk delinea bene quali sono le differenze. Racconta il suo rapporto con Orbán e qualche indiscrezione che Orbán gli ha raccontato su Kaczynski. Michnik conferma: “Sì sono diversi, anche come aspirazioni. Orbán ha dei progetti internazionali, ha un’idea di Europa – ovviamente illiberale – ma un’idea ce l’ha. Mentre Kaczynski coltiva un partito volutamente provinciale, senza nessuna aspirazione fuori dalla Polonia. Non conosce le lingue, non capisce l’Europa, non è mai passato per le sue istituzioni”. Tusk racconta che Orbán riteneva Kaczynski un  pazzo pieno di ossessioni, e credeva poco nella tenuta del suo potere. Oggi i due cercano di superare le divergenze per creare un nuovo gruppo in cui convivere dentro al Parlamento europeo. “Per costituzione i nazionalisti non sanno costruire strutture ampie, semmai le buttano giù. Dai nazionalismi non nasce mai qualcosa, vanno d’accordo se c’è un nemico comune, come l’Europa o i migranti. Ma anche sui nemici hanno idee diverse”. 

Per quanto vecchio, senza vitalità, senza slancio, il sistema delle democrazie occidentali continua a essere il migliore dei sistemi possibili. Michnik ci crede, non parla del futuro della Polonia, non fa previsioni, dice: “Vedremo”. L’Europa deve imparare a trovare la sua strada, a fare senza l’America, a vivere indipendente, a distanza da Cina e Russia. Forse il futuro sta nel grande cambiamento che ha appena vissuto, il congedo di Angela Merkel: “E’ difficile immaginare un’Europa senza la Merkel. In Polonia i nazionalisti al governo l’hanno sempre criticata, ne hanno fatto caricature con uniformi naziste, dicono che è antipolacca. Il PiS è un partito antitedesco che  adesso si renderà conto che se ne è appena andata la cancelliera più pro polacca che la Germania abbia mai avuto, faceva di tutto per tenere Ungheria e Polonia nell’orbita europea. E’ stata anche contestata per questo, anche io l’ho contestata. il mio amico Daniel Cohn-Bendit un giorno mi ha detto: cosa preferisci, una Germania troppo pacifista o una troppo militarizzata? Ognuno ha il suo fardello storico e la Merkel ha sempre portato dietro il suo e quello della Germania con grande attenzione ed equilibrio. Ho capito che la sua propensione al compromesso viene da questo rispetto per la storia”. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.