Un frame tratto da Dopesick, la serie in onda su Disney +

L'uomo di Biden contro la crisi degli oppiacei raccontata da “Dopesick”

Simona Siri

La serie tv in onda su Disney + tratta “l’Afghanistan sanitario” negli Stati Uniti. Che dal 2000 a oggi ha fatto mezzo milione di vittime

New York. Uno dei momenti più illuminanti di “Dopesick - Dichiarazione di dipendenza”, la  nuova serie da oggi su Disney+ tratta dall’omonimo libro di Beth Macy che racconta la crisi da uso e abuso di oppiacei, è quando Richard Sackler, presidente della Purdue Pharma, la casa farmaceutica che produce OxyContin, si mette in testa di voler conquistare il mercato europeo, in particolare quello tedesco. I suoi stretti collaboratori lo sconsigliano, gli dicono che è un’impresa impossibile, ma lui insiste, non si capacita delle porte chiuse, dell’incorruttibilità delle agenzie tedesche, addirittura della poca inclinazione europea a servirsi dei farmaci oppiacei. “E’ una questione culturale”, cerca di spiegargli il dirigente cui ha affidato questo compito impossibile. “Per i tedeschi il dolore fa parte del processo di guarigione, è quasi un aspetto positivo, non è una cosa da eliminare assolutamente come pensiamo qua in America”.  

 

Non è ovviamente la sola, ma è una spiegazione abbastanza plausibile del perché l’abuso di oppiacei ha devastato e sta devastando gli Stati Uniti – e solo gli Stati Uniti, almeno con queste dimensioni – da più di venti anni. Gli altri motivi sono come una tempesta perfetta fatta di corruzione, ingenuità, avidità e assoluta mancanza di principi morali. E’ il 1996 quando Purdue Pharma immette sul mercato OxyContin, un oppiaceo di nuova generazione che agisce con un sistema di azione ritardato e quindi, dicono loro, non provoca assuefazione o se la provoca, lo fa solo nel meno dell’un per cento dei pazienti. Per convincere i medici di provincia a prescriverlo non solo a malati di cancro in fase terminale (per fare soldi veri un farmaco deve diventare di uso comune, non limitarsi a una nicchia), Purdue intraprende una campagna promozionale senza precedenti, armando un esercito di informatori che vanno di stato in stato, di medico in medico, con in mano munizioni potentissime sotto forma di viaggi e regali, ma anche del mezzo di persuasione definitivo: l’approvazione della Food and Drug Admnistration che, prima volta nella storia, appiccica al farmaco un’etichetta che di fatto lo assolve (e che poi si rivelerà essere falsa, ottenuta grazie a un funzionario della Fda che l’anno dopo andrà a lavorare per Purdue). Alcuni in buona fede, convinti dalla garanzia fornita dal governo federale, altri meno in buona fede, convinti a suon di cene costose e soggiorni in Florida, i medici incominciano a prescrivere OxyContin un po’ per tutte le patologie, per tutti i tipi di dolore, dal mal di schiena al mal di denti, passando addirittura per il rush cutaneo

I risultati sono storia recente: dal 2000 a oggi gli Stati Uniti hanno contato mezzo milione di morti per overdose da oppiacei. Dopo un calo nel 2018, dovuto in parte ai diversi programmi di riabilitazione iniziati in stati problematici come Ohio, Kentucky e West Virginia, complice la pandemia nel 2020 c’è stato un nuovo, drammatico record di morti: 93 mila, il numero più alto dal 1999. Un problema non da poco che ora toccherà alla corrente amministrazione cercare di risolvere. 

Dopo averne fatto uno dei cavalli di battaglia durante la campagna elettorale, Joe Biden ha davanti a sé scelte impegnative tra un bouquet di soluzioni che vanno dalla decriminalizzazione totale alla riabilitazione del modo in cui il sistema sanitario tratta i pazienti. In un’intervista al Washington Post Keith Humphreys, esperto di politica sulle droghe della Stanford University, ha detto che la cura della dipendenza non è mai stata davvero integrata nel sistema sanitario e che è necessaria una rivoluzione per cui dire al medico di base “credo di essere diventato dipendente al farmaco X” deve essere facile come dire “credo che il farmaco X mi faccia venire la nausea”. Un altro ostacolo riguarda l’accesso ai programmi, un problema difficile da negoziare a causa delle burocrazie sanitarie e assicurative non coordinate a livello nazionale. 

Secondo il National Survey on Drug Use and Health, nel 2019 solo il 18 per cento delle persone con disturbo da uso di sostanze che avevano bisogno del farmaco anti dipendenza buprenorfina lo hanno ottenuto, sebbene sia il modo più efficace per combattere la dipendenza. Secondo uno studio riportato dal Washington Post, nel 2017 solo 17 operatori sanitari ogni 100 mila erano autorizzati a dispensarlo. L’American Medical Association ha invece chiesto un più ampio accesso al naloxone, farmaco di emergenza che serve da antidoto all’overdose da oppiacei. Intanto, a fine ottobre è finalmente arrivata la conferma di Rahul Gupta a capo dell’Office of National Drug Control Policy. Ex funzionario sanitario del West Virginia, voluto da Biden e molto vicino al senatore Joe Manchin, toccherà a lui guidare la risposta all’epidemia di oppiacei con un approccio che lui stesso ha definito fatto di “cure e servizi di alta qualità e basati sull’evidenza”. Science First, quindi, secondo il motto già utilizzato per la lotta al Covid-19. 

In uno dei suoi primi interventi, Gupta ha affermato che la pandemia ha esacerbato i problemi di salute pubblica legati alla dipendenza, citando il passaggio dall’assistenza di persona a quella via Zoom: “Quando questi servizi vengono chiusi o trasformati in servizi virtuali, finisce che molte persone ne rimangono prive e questo porta solo a più sofferenza”. Vent’anni di battaglia che per ora non hanno portato a niente, la crisi degli oppiacei è una specie di Afghanistan sanitario e come tutte le grandi guerre è diventato materiale narrativo

La serie “Dopesick”, con protagonisti tra gli altri Michael Keaton, Peter Sarsgaard e Rosario Dawson, è solo l’ultimo esempio di un mini filone iniziato qualche anno fa e che contiene libri – quello già citato di Beth Macy, “Dreamland” di Sam Quinones – e una manciata di film – “Ben is back” con Julia Roberts e Luca Hedges, “Beautiful Boy” con Steve Carell e Thimothè Chalamet. Da fenomeno relegato alle comunità rurali dei monti Appalachi, la crisi degli oppiacei si è prima riversata nelle grandi città e poi è diventata mainstream. Il comico John Oliver nella sua trasmissione settimanale sulla progressiva Hbo se ne è occupato spesso, soprattutto degli aspetti giudiziari legati alla famiglia Sackler. E’ notizia di un mese fa l’accordo raggiunto in sede legale: Purdue Pharma ha dichiarato bancarotta. Ma i Sackler (che non sono in fallimento) oltre a mantenere un patrimonio personale valutato in circa 11 miliardi, hanno ottenuto l’immunità per eventuali future rivendicazioni legali collegate agli oppiacei. Scontenti del risultato e della mancata presa di responsabilità da parte della famiglia, il dipartimento di Giustizia e alcuni stati stanno già pensando di ricorrere in appello. Giusto in tempo per una seconda stagione di “Dopesick”, se mai si farà.

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