AP Photo/Alastair Grant 

Un Labour di governo

Le parole chiave di Starmer, che non vuole guidare un partito di protesta affezionato al passato

Paola Peduzzi

Le priorità della sinistra d'Oltremanica e lo scontro su "l’albero magico dei soldi”, simbolo di una frattura

Novanta minuti di discorso, molti applausi, tutto Keir Starmer in gioco, la sua famiglia, la sua storia, le sue esperienze, le sue idee sul Labour e sul Regno Unito e poi dei disturbatori della sinistra radicale che hanno dato l’occasione al leader laburista per dire una cosa in apparenza banale, ma in realtà rivoluzionaria: siamo qui per prendere il potere e per  governare, non per protestare. “Potete gridare per tutto il giorno”, ha detto Starmer e poi rivolgendosi a tutto il pubblico: “Gridare slogan o cambiare le vite delle persone?”, scegliete voi. Ieri alla conferenza del Labour a Brighton, Starmer ha tenuto il suo primo discorso in presenza da quando è stato eletto leader nell’aprile del 2020, a pandemia già iniziata, prendendo il posto di Jeremy Corbyn, che aveva perso molto male le elezioni del dicembre precedente, quelle che hanno dato ai Tory di Boris Johnson una maggioranza schiacciante. Starmer rappresenta l’ala moderata del Labour però aveva lavorato come ministro (della Brexit) nel governo ombra di Corbyn quindi era considerato un leader in grado di far parlare le due anime del partito. Ma la esperienza di quest’anno e mezzo mostra che la convivenza non è possibile, moderati e radicali hanno troppe differenze, ambizioni e visioni diverse, e così c’è stato spazio soltanto per il conflitto: corbyniani contro tutti gli altri. Starmer ha fatto in modo di ridimensionare il loro potere. Nel suo discorso non ha soltanto detto di non voler fare opposizione a vita.


Starmer ha anche delineato il suo programma, combinando la propria storia di avvocato del lavoro con echi blairiani (ha detto: “La mia priorità è l’istruzione e ho la tentazione di ripeterlo tre volte”, cioè il mantra dell’ex premier Tony Blair “education education education”) e con il linguaggio e le richieste di oggi. I princìpi di Starmer sono “work, care, equality and security”, come ha scandito più volte durante il suo discorso, declinando alcune proposte (non molte: è stato più un discorso dottrinario che di politiche pratiche), dilungandosi sul piano climatico da 28 miliardi di sterline l’anno, l’unico punto su cui c’è un allineamento almeno ideale con la sinistra corbyniana. Starmer ha chiesto una Brexit funzionante, ha accennato ai problemi di scarsità di risorse, dal personale ai beni alimentari, e alla crisi energetica, ma non ha fornito soluzioni praticabili all’emergenza. In contrasto con l’approccio “triviale” del premier Johnson Starmer ha parlato dei suoi punti di riferimento, la famiglia e la sua professione.


Tutto il resto è stato scontro. I corbyniani inviperiti hanno cercato di interromperlo come da giorni prendono le distanze da questa nuova leadership. Domenica, Rachel Reeves, cancelliere ombra, aveva denunciato “l’albero magico dei soldi” di Corbyn, che voleva spendere tantissimo senza mai dire come: da quel momento, i corbyniani hanno cominciato ad attaccarla dicendo che l’albero magico dei soldi esiste ed è l’un per cento della popolazione ricchissima – versione bucolica di “tax the rich”. La frattura pare insanabile, i commentatori non aiutano a rimarginarla se come Sebastian Payne del Financial Times dicono: un discorso come quello di Starmer non si sentiva da tempo, “avrebbe potuto pronunciarlo Blair”.

Di più su questi argomenti:
  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi