Per Londra Aukus fa molto Global Britain, e pazienza per i francesi

Paola Peduzzi

Johnson è appena arrivato a New York per partecipare all’Assemblea dell’Onu e vuole sfruttare l’occasione per sventolare la bandiera della potenza britannica che è uscita, dice lui, rafforzata dalla Brexit. Quel che conta è che gli interessa più il fatto di aver chiuso un accordo del genere con l’America che la consapevolezza di aver infastidito molto i francesi

La gran settimana dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, l’appuntamento annuale della diplomazia globale, s’apre con una crisi spettacolare tra parte del mondo anglosassone – America, Regno Unito e Australia e l’Europa (o sarebbe meglio dire la Francia ché la compattezza del continente non è affatto scontata) su come porsi e quindi gestire i problemi in Asia. Fino a qualche giorno fa, l’Afghanistan e il suo futuro erano al centro del dibattito, ora c’è anche la commessa dei sottomarini che i francesi pensavano di vendere agli australiani (per 40 miliardi di euro) e che invece non hanno venduto più: in entrambi i casi c’entra la Cina con la sua aggressività e le sue sfere di influenza. La questione di fondo non è nuova, ma in poche settimane è diventato più urgente schierarsi, ancor più se l’America si mette a fare politica internazionale senza consultarsi con l’Europa e prima lascia l’Afghanistan ai talebani e quindi più vicino alla Cina poi fa da scudo tecnologico-marino all’Australia in chiave anticinese. E gli altri? In Europa, dove si osserva piuttosto allibiti quest’ultima involuzione diplomatica, il conflitto più sentito è quello tra la Francia e il Regno Unito: anche qui nulla di nuovo, ma sempre peggio. 

 

Se Parigi rimpiange quasi Donald Trump (anzi: dice che Joe Biden, l’attuale presidente, è come il suo predecessore, soltanto senza i tweet) allo stesso tempo cerca di sminuire il ruolo di Londra in questa ultima crisi. Il governo di Emmanuel Macron ha deciso di ritirare gli ambasciatori in America e in Australia ma non nel Regno Unito, come a dire: voi inglesi contate talmente poco che non vi voglio nemmeno considerare. Le scaramucce tra i due paesi sono ormai note, proseguono dai tempi del negoziato sulla Brexit (Parigi voleva essere molto più dura, Berlino fece da mediatrice), si sono moltiplicate durante la campagna vaccinale (con il caos di AstraZeneca prima e poi con il confronto sui numeri e i livelli di vaccinazione) e sono sempre state funestate dalle code dei camion, i rallentamenti, i controlli e le guerre dei pescatori per via dell’implementazione del trattato sulla Brexit.  Ora con i sottomarini non venduti e l’alleanza  di Aukus è tutto peggiorato. Parigi ha voluto annullare la visita prevista per questa settimana tra Florence Parly, ministro delle Forze armate, e il suo collega britannico, Ben Wallace: secondo la Reuters, la decisione è stata presa personalmente dalla Parly. Ai Comuni Wallace ha detto: “Non c’era alcuna intenzione di creare una frattura con la Francia”, e questa è la linea ufficiale del governo di Boris Johnson: le tensioni ci possono essere, ma nelle relazioni sane si superano. Molti si interrogano su quanto sia davvero in salute questa relazione, ma il primo ministro ha un obiettivo più grande e non vuole permettere alle ire francesi di rovinare i suoi piani. 

 

Johnson è appena arrivato a New York per partecipare all’Assemblea dell’Onu (Macron non ci sarà) e vuole sfruttare l’occasione per sventolare la bandiera della Global Britain, la potenza britannica che è uscita, dice lui, rafforzata dalla Brexit. Questa bandiera ha molte sfumature di verde, perché è prevista a novembre a Glasgow la Cop26, la grande conferenza sul clima in cui Londra ambisce a un accordo vincolante e quindi storico sugli impegni internazionali contro il cambiamento climatico. Secondo i ben informati, Johnson vuole occuparsi in particolare di questo anche se non si è sottratto ai commenti sulla Francia: ha detto che l’amore e l’ammirazione britannici verso i francesi è “non sradicabile” anche perché condividono un programma di test nucleari che si chiama Teutates, “che credo sia il dio gallico del tuono, secondo i miei studi di Asterix” (in realtà è il dio della guerra, della fertilità e della ricchezza).   La faccenda Aukus sarà  gestita in concreto da Liz Truss, neonominata ministro degli Esteri, che mercoledì deve presiedere un incontro dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu, con America, Cina, Russia e la Francia: aspettatevi “un gelo artico”, scrive Politico.

 

Quel che conta però è che a Johnson interessa più il fatto di aver chiuso un accordo come Aukus con l’America che la consapevolezza di aver infastidito molto i francesi. La proiezione della Global Britain è volutamente oltre l’Europa e questo patto costituisce, come ha scritto Mark Landler sul New York Times, “la prima vittoria tangibile della campagna che vuole rendere il Regno Unito post Brexit un interlocutore sulla scena globale”. Kim Darroch, l’ex ambasciatore inglese a Washington che aveva dato di “inetto” a Trump, ha detto: “Stiamo iniziando a costruire una presenza reale, nella difesa e nella sfera economica, in quella parte di mondo”, intendendo l’Asia. Naturalmente il sogno global di Johnson luccica più nelle sue parole che nei fatti, ma questo nuovo Regno Unito non si lascia sfuggire nessuna occasione, nemmeno quella di tornare a pesare la frutta dall’ortolano in libbre e once, e non come voleva l’Ue che per anni ha disturbato la vita quotidiana britannica con i suoi chili e grammi.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi