La cancelliera e le ragazze

Merkel e le sue lezioni di leadership femminile (senza femminismo)

Paola Peduzzi

Abbiamo ricostruito un manuale di “girl power” della cancelliera tedesca: ci si lamenta poco, non ci si offende mai e s’impara a sfruttare la vanità dei maschi

No, non ce la può fare, disse Helmut Kohl quando gli riferirono che Angela Merkel si sarebbe voluta candidare alla guida del partito cristianodemocratico tedesco, e poi alla cancelleria. Finivano gli anni Novanta, qualche settimana prima la Merkel,  allora conosciuta come Mädchen, “la ragazza”, anzi “la mia ragazza” nella versione dell’ex cancelliere, aveva preso le distanze dal suo mentore coinvolto nello scandalo delle donazioni illegali al partito. Fece una cosa inattesa, la Merkel: telefonò a un giornalista della Frankfurter Allgemeine Zeitung e gli disse che aveva dei commenti da fare sui fondi neri della Cdu.  Lui le suggerì di mandare qualcosa di scritto, e qualche minuto dopo arrivò un fax nella redazione della Faz: era l’articolo con cui la Merkel disse che la Cdu doveva imparare a camminare da sola e per farlo avrebbe dovuto uccidere il padre, cioè Kohl, e dato che c’era, anche lo zio, cioè Wolfgang Schäuble. Fu la prima volta che la Merkel mostrò  il suo “killer instinct”, la capacità di capire il momento di affondare il coltello, e poi di affondarlo per davvero, senza vergogna, assumendosene le responsabilità.

 
“Non ce la farai” è una frase che segna. Gli educatori di oggi la vietano: tutti ce la possiamo fare e anche se non è vero, l’importante è crederci, la forza di volontà è tutto. Per la Merkel fu un detonatore: poteva scegliere di lamentarsi, di denunciare il club dei maschi e il sessismo della politica tedesca tutta, di intestarsi una battaglia pubblica di sfondatrice di soffitti di cristallo. Decise di tacere, non abbracciò la causa delle donne, non si fece simbolo di nulla se non di se stessa – è il motivo per cui ancora oggi le femministe non sanno se Angela Merkel è una di loro.  

 
Helmut Kohl disse quella frase, non ce la può fare, non soltanto perché era stato tradito dalla sua ragazza, ma anche perché allora la Cdu era guidata principalmente da uomini bianchi, cattolici provenienti dalla Germania ovest, tendenza sud. C’erano tra gli altri Friedrich Merz, Roland Koch, Jürgen Rüttgers (volti e nomi che abbiamo poi conosciuto perché vittime del “killer instinct” merkeliano), conservatori tradizionali che facevano parte della generazione “Messdiener”, la generazione dei chierichetti, che considerava la carriera dentro al partito come un diritto acquisito, cui lavorava con dedizione ma con la sicumera dei prescelti.  Kohl disse che la sua ex protetta non ce l’avrebbe mai fatta non soltanto perché era furibondo e ferito, non soltanto perché non poteva perdonarsi di aver cresciuto una serpe in seno (“il più grande errore della mia vita”), ma perché la Merkel era una donna e come tale non faceva parte del calcolo politico e culturale di Kohl, dei chierichetti e della Germania. Anzi: della Germania dell’ovest, perché nell’est le donne non ricoprivano certo cariche importanti, ma lì il calcolo culturale era  diverso da quello prevalente a ovest: “La conciliazione tra lavoro e famiglia era una cosa molto ovvia”, avrebbe detto la Merkel, la ragazza dell’est.

   

   

  

Quel “non ce la può fare” di Helmut Kohl riassume  moltissimo della leadership della Merkel. C’è l’ira personale del padre politico, c’è la sua lettura politica sbagliata (straordinariamente sbagliata) ma c’è anche una delle grandi risorse di quella che sarebbe diventata la gestione del potere della cancelliera: essere sistematicamente sottovalutata. La scrittrice Margaret Atwood ha fatto una sintesi perfetta di questa risorsa, l’ha stampata su una maglietta rosa e l’ha postata su Instagram: “Sottovalutatemi, sarà divertente”. Questo metodo è  uno dei motori del potere delle donne, certo lo è stato per la Merkel, che non è rimasta incastrata nelle categorie che le avevano assegnato, si è svincolata e affermata, uccidendo quando necessario, consapevole e volitiva, e forse sì, anche divertita. 

    

La donna che non spaventa gli uomini. Merkel ha trovato un equilibrio unico nei suoi rapporti di potere. Ha un “killer instinct” molto spiccato ma anche la capacità di ascoltare, di flirtare e di non far notare quando serve

   
Molti si interrogano ossessionati sul femminismo della cancelliera, anche perché  lei non lo fa spesso e non lo fa volentieri: è una perversione, questa della definizione delle sfumature dell’essere femministe, che non le appartiene. Ma in sedici anni di potere ininterrotto, prima donna alla guida della Germania  e la più longeva delle donne che hanno guidato una nazione in occidente, la Merkel ha scritto un formidabile manuale per ragazze,   una lezione di leadership femminile unica e   per questo inarrivabile. E’ il motivo per cui l’eredità di questa guida femminile in Germania è controversa per quel che riguarda la compensazione del gender gap, ed è il motivo per cui si strattona la Merkel di qui e di là, un simbolo splendente di tigna con il sorriso e allo stesso tempo una che per le donne si è spesa poco, o non in modo espansivo. Il manuale però c’è, ed è prezioso.

   

Chiedendosi che cosa la Merkel lascerà alle donne, Tina Hildebrandt ed Elisabeth Raether sono partite, in un loro articolo per il magazine della Zeit, da una porta a vetro di un elegante palazzo nel centro di Amburgo, dove lavora la stilista Bettina Schoenbach, una delle persone più vicine alla Merkel. Come sia andato il primo incontro tra la cancelliera e la Schoenbach nessuno lo sa, la regola per restare amici e confidenti della Merkel è una ed è chiara: non si chiacchiera, non si spettegola, si tace. Lo chiamano “il primo comandamento”, se non lo rispetti, non otterrai mai la fiducia della cancelliera. E’ il motivo per cui molte delle consigliere della Merkel – perché l’inner circle originario della cancelliera è donna, solo con il tempo il club delle ragazze si è aperto agli uomini – sono regine di riservatezza: c’è chi non ha mai concesso un’intervista in decenni, mai un cedimento, tanto che alla fine a stancarsi sono stati i curiosi.

  

Le due autrici della Zeit non sono riuscite a violare il patto di segretezza che c’è nel “girl camp”, così viene chiamato, della Merkel, ma hanno immaginato che lei si affacciasse sulla porta della Schoenbach e dicesse: “Pensano di me che sono una zietta venuta dall’est, senza alcuna idea di che cosa significhi essere stilosi, ma voglio diventare cancelliera e ho realizzato che la gente, cosa per me sorprendente ma tant’è, dà molto peso a come appaio. Quindi: cosa devo mettermi?”. Schoenbach accolse l’invito, trasformò i tailleur nella seconda pelle della Merkel: tessuti rigidi, tinte unite, mai un fronzolo o uno svolazzo, men che meno uno scollo. Merkel se ne concesse uno nel 2008 in un abito da sera andando all’Opera; qualcuno notò: la cancelliera ha le tette! Non ci fu mai più uno scollo. 

  
Merkel aveva deciso con la sua stilista l’obiettivo: gli occhi degli altri devono scivolarmi addosso, non si deve discutere di come mi vesto, il tailleur è come il camice per il medico, una divisa naturale, di cui non si parla perché non c’è niente da dire. Quando la futura cancelliera era apparsa sulla scena nazionale, all’inizio degli anni Novanta, uomini e donne si ritrovarono d’accordo nel dire che la ragazza non era attraente, anzi era sgraziata e sciatta, con quel taglio di capelli a scodella e con un manifesto disinteresse rispetto alla propria apparenza. Di recente, una foto della Merkel da giovane è diventata virale sui social: assomiglia a Billie Eilish, dicevano i commenti. Perché nessuno si è accorto degli occhi azzurri o del viso delicato della Merkel? Perché lei non ha voluto, non per capriccio o per insicurezza, ma per scelta.

    

“Una donna intelligente, una donna potente: forse nemmeno questo era voluto – scrivono le due autrici sulla Zeit – Ma una donna intelligente, potente e attraente sarebbe stato troppo. Così la Merkel ha continuato a de-eroticizzarsi”. Una volta la cancelliera ha detto di aver imparato a sfruttare la vanità degli uomini. Di fatto è vanitoso l’uomo ossessionato dalla bellezza o non bellezza di una donna, ha sempre bisogno di testare la propria adeguatezza, il proprio erotismo. Basta saperlo, e approfittarne: sarà divertente. 

  
“Helmut Kohl, quando era ancora in buoni rapporti con Angela Merkel, disse che lei aveva uno stile cameratesco con gli uomini”, dice Tonia Mastrobuoni, corrispondente da Berlino di Repubblica: “Merkel è una donna, per natura e per indole, che non spaventa gli uomini. E’ una donna alfa, ma non li spaventa riuscendo al contempo a mantenere uno stile molto femminile. Penso alla pandemia: la Merkel non ha utilizzato metafore belliche. Le usavano tutti: guerra, armi, il Recovery plan rappresentato con un bazooka. Lei no: non imita  gli uomini, men che meno  nel linguaggio. Non ha bisogno di imporsi con uno stile aggressivo: non è aggressiva e non finge di esserlo”. Due giorni dopo il voto tedesco del 26 settembre, esce per Mondadori il libro di Tonia Mastrobuoni che si intitola “L’inattesa. Angela Merkel, una biografia politica”. Il concetto di leader “inattesa” è emerso nelle tante conversazioni che la Mastrobuoni ha avuto in questi anni, e riassume il fatto che la cancelliera sia stata una sorpresa e che, ancora adesso, dopo sedici anni, “la Cdu, il partito che lei ha salvato, tenti di trattarla come una parentesi”. Inattesa, e sottovalutata.
         

Alice Schwarzer, la femminista più famosa della Germania che conosce la cancelliera da trent’anni e la incontra almeno due volte l’anno (hanno anche lo stesso parrucchiere), ha cercato, in una recente intervista sullo Spiegel, di definire l’interpretazione merkeliana della leadership femminile. In sintesi la Schwarzer ha detto: “Sie ist eine Mischung aus Mädchen und Kamerad”, è un po’ ragazza e un po’ cameratesca, riesce a coniugare la femminilità e la complicità più spiccia. La Schwarzer ha poi spiegato: “Una donna è spesso ‘la donna di’, appartiene a un uomo. Una ragazza è una creatura indipendente. Certo, la Merkel flirta con gli uomini, basta vedere il suo debole per Emmanuel Macron, il presidente francese, ma poi gioca sempre la carta della competenza. Non parla di cose che non ha compreso in modo profondo, e il ‘Merkel mix’ è unico perché va oltre i cliché. Non fa né la donna sottomessa sui tacchi alti né l’uomo. Non sarebbe utile fare l’uomo, alla fine si sceglierebbe lui, perché c’è un momento in cui i maschi vanno insieme a fare pipì e le donne restano fuori. E’ in questo senso che il ‘Merkel mix’ può essere di insegnamento”.

 
La ragazza e la compagna, con il suo tailleur d’ordinanza e l’arte di divertirsi quando gli altri la sottovalutano, ha anche un’altra qualità: ascolta. In un mondo dove chiunque vuole dire la sua su ogni argomento e ci tiene sempre molto al proprio commento, la Merkel fa il contrario. Un suo collaboratore ha raccontato: “La cancelliera è una maestra dell’ascolto. In una conversazione, parla per il 20 per cento del tempo, e tu parli per l’80. Sembra che ti stia invitando: ‘Voglio sentire che cosa hai da dire’, ma la verità è che il suo giudizio si forma in due minuti e gli altri diciotto sono tempo perso. E’ come un computer, pensa: ‘E’ fattibile quel che il signore qui davanti mi sta proponendo?’, e in pochissimo tempo è in grado di comprendere se sta ascoltando fantasie o idee pratiche”. Mastrobuoni racconta di aver sentito più volte persone vicine alla Merkel che dicono: “La cancelliera è sempre la più intelligente nella stanza. Alla tua seconda frase, lei sa già cosa dirai alla decima”. Intanto Merkel osserva. Il regista  Volker Schlöndorff, amico della cancelliera, una volta le ha chiesto se, negli incontri con i leader internazionali, magari quando si posizionano per le foto di gruppo, si mettono a chiacchierare. La cancelliera gli ha raccontato di una sua breve conversazione con Dmitri Medvedev, ex presidente russo.

    

Il tempo ha fatto bene alla cancelliera, il potere non l’ha travolta ed è rimasta attaccata alle leggi della conservazione cui aveva dedicato la sua prima vita: quel che sale poi un giorno scenderà, i successi si compensano con le sconfitte. Anche questa consapevolezza 
fa parte del manuale per ragazze della Merkel

  

Erano a Soci, nella dacia putiniana, e guardavano il Mar Nero a favor di telecamera. Merkel disse, in russo: “Il presidente Putin mi ha raccontato che nuota per un chilometro qui davanti alla mattina. Anche lei fa cose di questo genere?”. Medvedev rispose: “Io nuoto per un chilometro e mezzo”. Secondo Schlöndorff, quell’aneddoto mostra che la Merkel, “anche quando è coinvolta, non è mai così assorbita da non osservare il modo in cui le persone si comportano, e lasciarsi divertire”. 

  
Il divertimento e l’ironia sono dei tratti che ritornano spesso nelle chiacchiere sulla leadership della cancelliera, ancor più perché sono tratti che non si vedono. Per molti anni, dovendo scegliere un aggettivo da associare alla Merkel, si è deciso: noioso. Discorsi soporiferi, riservatezza totale che significa non aver nulla di cui sparlare, cautela, piccoli passi, a volte impercettibili – immobilismo granitico. In realtà la Merkel è tutt’altro che immobile, anzi guardando i suoi sedici anni di potere si vede una grande trasformazione non soltanto di toni e pose, che è il frutto dell’esperienza, ma anche delle sue idee. E’ stato un processo di adattamento, il suo, al cambiamento, ai nuovi equilibri, agli imprevisti, che molti riconducono alla sua formazione da scienziata. A volte, nelle tante ricostruzioni della sua vita, ci si dimentica che quando arriva in politica, la Merkel ha trentacinque anni, un matrimonio fallito alle spalle, un nuovo uomo al suo fianco e una carriera da scienziata. La politica è un accidente nel mezzo dei trent’anni, arriva con il più grande sconvolgimento della vita della Merkel e dell’occidente, cioè la caduta del Muro di Berlino, e anzi la futura cancelliera va a cercarla, è il suo nuovo esperimento, affrontato con la cautela e la circospezione di sempre. Durante il comunismo questa signora che sarebbe poi diventata la garante dei valori occidentali, la leader che meglio li sa articolare e che meglio ne riconosce la forza, non si esponeva mai. Il suo metodo di sopravvivenza era il silenzio: non voleva farsi notare, sapeva che era pericoloso. All’epoca della caduta del Muro, quando la dissidenza finalmente riuscì a mostrarsi, raccontarsi, riconoscersi e anche contarsi, tanta cautela suscitò sospetti e critiche. C’è da fidarsi di una persona che avrebbe potuto battersi per conquistare quel che considera più caro, la libertà, e invece è rimasta zitta, nell’ombra, a pensare a se stessa? Allora la risposta era per lo più: no. Poi si è trasformata in un sì, perché l’impegno civile e politico della Merkel è risultato evidente e così il suo metodo: la scienziata fa i calcoli, non ama l’improvvisazione perché la prende per superficialità.

  
La scienziata Merkel non vede problemi: vede processi. Scompone ogni guaio, ogni dissapore, ogni capriccio in tante parti, e poi ne affronta una per volta. Chi l’ha vista all’opera nei vertici europei e globali dice che quest’arte di scomporre e riassemblare si vede in modo nitido nella stesura dei comunicati ufficiali. Laddove c’era uno strappo, alla fine c’è l’aggettivo corretto, quello che non scontenta nessuno, che lascia spazio per risistemare ancora un pezzettino, nella fase successiva del processo. In questo modo anche gli scontenti non si sentono esclusi, che poi è anche il motivo per cui Merkel ascolta e recepisce, resistente e attenta, dando l’impressione di volersi prendere cura delle attese del suo interlocutore. Laddove ci sono spigoli, assaggi di guerriglia, la Merkel risponde con la sua diplomazia accogliente, che fa sì che nessuno si spaventi. E quando è in difficoltà, la cancelliera usa la carta della competenza: sa tutto, non dimentica nulla, né dei dossier né soprattutto delle persone, dei figli, dei mariti, delle famiglie. Il suo modo di sedurre, perché come dice la Schwarzer, la Merkel flirta eccome, non ha a che fare con la vanità: è forza di persuasione. E’ anche in questo senso che il leggendario immobilismo della Merkel non ha nulla di immobile: un giorno fa piangere la ragazzina palestinese dicendole che la Germania non può accogliere tutti gli immigrati e quello successivo apre le porte ai migranti scalzi con il suo “Wir schaffen das”; un giorno dice di essere contraria al matrimonio gay e il giorno dopo, in una conversazione pubblica dentro un teatro berlinese, dice che “in qualche modo” bisogna modificare l’approccio “in una qualche direzione che vada verso la coscienza dei singoli”: in Parlamento poi è passata la legge sui matrimoni gay; un giorno la Merkel dice che la Germania non aprirà mai al debito comune europeo e il giorno dopo, di fronte a un imprevisto straordinario come è stata la pandemia, apre la strada al più grande piano di salvataggio comune dell’Unione europea. 

  

    

  Questa capacità di trasformarsi si è vista anche al di fuori del palazzo. Il suo soprannome “Mutti” fu inventato dai suoi rivali dentro al mondo conservatore (in quello bavarese, per la precisione): era usato in modo dispregiativo, e la Merkel non lo amava per niente. Ma ancora una volta, non si lamentò né denunciò quell’ostilità interna venata di sessismo e in qualche modo offensiva, visto che lei non è mamma (la prima a dire che una donna senza figli non avrebbe mai potuto comprendere le donne, le loro scelte, i loro tormenti, fu nel 2005 Doris Schroeder-Kopf, allora moglie di Gerhard Schröder, cancelliere socialdemocratico e rivale della Merkel: se l’attuale candidato della Spd, Olaf Scholz, dovesse vincere le elezioni come dicono i sondaggi, la Germania avrebbe di nuovo alla propria guida un leader senza figli). Merkel aspettò, guardò l’effetto che faceva quel nomignolo che la irritava tanto. E l’effetto fu dirompente, perché a furia di chiamarla mamma, la cancelliera è diventata mamma, più calda, più attenta, più sorridente, più rassicurante. O almeno è stata percepita così, e ha incassato quello che viene chiamato il “bonus donna”, cioè il voto femminile. Anche se c’è chi pensa, come Alice Schwarzer, che come avrete capito ha voce in capitolo, che “Mutti” sia quanto di meno adatto per la Merkel: “La cancelliera ha aggiunto una nuova tonalità all’immagine delle donne di potere. Chi c’era prima? Margaret Thatcher nel Regno Unito era una dominatrice, e sì, lo intendo anche dal punto di vista sessuale. Golda Meir in Israele era la madre della nazione con il grembiule, affettava e distribuiva il pane a tutti. Ma chiunque chiami la Merkel ‘Mutti’ deve essere cieco: se c’è qualcuno che non è per nulla una mammina, è lei”.  

   
Il senso materno, che pure la Germania ha sentito e che ha anche convogliato il voto dell’elettorato femminile sulla cancelliera, è forse quel che la Merkel in modo più pratico chiama: cura e metodo. Jeremy Cliffe, responsabile delle pagine internazionali del magazine inglese Statesman di base a Berlino e gran ritrattista, racconta la giornata tipo della Merkel come sintesi della continua rassicurazione che è la leadership della cancelliera: “Inizia nel suo appartamento privato, anonimo e non grande”, affacciato sul Pergamonmuseum, nel cuore di Berlino, continua nel suo ufficio al settimo piano della cancelleria, con “la Kanzlermappe, un file digitale con la rassegna stampa della giornata, e il Morgenlage, la riunione alle 8.30 con i fedelissimi (che ora non sono più soltanto donne), cui non rinuncia nemmeno quando è in viaggio. Lei lavora a una scrivania piccola, perché il tavolo che dovrebbe utilizzare le pare troppo grande. A osservarla ci sono i ritratti di Konrad Adenauer e di Caterina la Grande”. La nota frugalità della cancelliera si mescola con questa routine che a prima vista è noia ma che in realtà è solidità, presenza, conforto, garanzia. Ed è anche la parte divertente, il mondo riservato della Merkel in cui può ridere e sorridere e irridere sentendosi al sicuro – il club delle ragazze in cui virtualmente tutte indossano la t-shirt di Margaret Atwood. Tra loro, la presenza più rilevante è quella di Beate Baumann, una funzionaria della Cdu che iniziò a lavorare con la Merkel al suo arrivo a Bonn e che ancora oggi è il suo numero due, l’unica che può parlare con schiettezza – e si danno del lei, scrive Paolo Valentino, corrispondente del Corriere della Sera, in “L’età di Merkel”, pubblicato di recente da Marsilio. La Baumann  fu la porta di ingresso della futura cancelliera nell’ovest, anzi, la sua interprete della vita dell’ovest. Il giornalista della Zeit Bernd Ulrich, che conosce entrambe, aveva raccontato qualche anno fa: “La Baumann non poteva fare la politica e la Merkel non sapeva nulla delle logiche della Germania occidentale e così si prese una sua  interprete personale” che si sarebbe rivelata un’alleata insostituibile. George Packer del New Yorker ha ricostruito questa relazione riassumendo molte delle lezioni incluse nel manuale per ragazze che la Merkel ha scritto nella sua vita da leader: “Stanche del bullismo spavaldo di Kohl – ha scritto Packer – le due donne si misero a praticare una forma di ‘crudeltà invisibile’: facevano il gioco duro, ma festeggiavano le loro vittorie in privato, senza celebrazioni pubbliche con cui si sarebbero fatte nemici non necessari. Soltanto in una rara occasione, Merkel si espose. Nel 1996, durante i negoziati su una legge sulle scorie radioattive, Gerhard Schröder, due anni prima di diventare cancelliere, disse che la performance della Merkel come ministro dell’Ambiente era stata ‘penosa’. Quello stesso anno, in un’intervista, Merkel disse: ‘Lo metterò nell’angolo proprio come lui ha fatto con me. Ho ancora bisogno di tempo, ma arriverà il giorno in cui questo accadrà, e non vedo l’ora’. Ci mise nove anni”. 

  
Il club delle ragazze è inaccessibile, ma non si muove come una gang, anzi la sua essenza originaria è quella dell’individualismo, che è un altro tratto della leadership della Merkel. E’ quel che le rimproverano le femministe: non fa gruppo. In realtà, nel 1993, quando era appena stata nominata ministro per le Donne e i giovani, la Merkel scrisse una recensione per il magazine Emma, il feudo di Alice Schwarzer: scelse il libro della femminista americana Susan Faludi “Backlash”. L’articolo si trova ancora sul sito di Emma e ha il titolo: “Quando ancora sognava il potere”. In quella recensione infatti, vuoi per il ruolo che ricopriva (che Merkel non amava, anche perché la prima volta che Kohl le parlò di quote rosa lei le definì “disonorevoli”) vuoi perché scriveva su una rivista dall’identità ben definita, la futura cancelliera era entusiasta della teoria del bilanciamento di potere della Faludi: “La lezione che ho imparato da questo libro – scrisse la Merkel – è che noi donne dobbiamo marciare dentro le istituzioni e partecipare al potere pubblico”. Solo che poi, per le donne, la cancelliera non ha organizzato nessuna marcia.

  
Secondo Paolo Valentino, “gran parte della costruzione della ‘donna Merkel’ come leader nasce nel suo essere della Germania dell’est, e se ci pensi anche la sua insostituibilità risiede lì: non avremo più un leader cresciuto con il muro davanti. Trentacinque anni passati nella Ddr hanno segnato la visione che la Merkel ha di se stessa e del suo ruolo: il fatto che una donna debba farsi strada da sola, per dire, anche in un mondo dominato dagli uomini. Nell’Istituto di chimica dei quanti in qui la Merkel va a lavorare dopo la laurea a Lipsia, lei è l’unica donna, a parte la segretaria. Il retroterra della Ddr è decisivo per comprendere questa particolare leadership femminile, che rifiuta il vittimismo e che per questo motivo è poco inquadrabile nelle battaglie femministe più tradizionali”. Ma questa interpretazione atipica e vagamente insulare della causa delle donne poi ha fatto bene alle donne tedesche? La risposta è complicata, perché i segnali non sono univoci. Tonia Mastrobuoni dice che “l’eredità è complessa, di certo la presenza di una donna come leader ha cambiato la prospettiva, anche per gli altri partiti” e cita la famosa frase del bambino che chiede alla mamma: “Ma i maschi possono diventare cancelliere?”. La cosiddetta “generazione Merkel” che Thomas Wieder ha raccontato in una splendida serie sul Monde ha una percezione della politica, del dibattito politico, della vita dei partiti molto peculiare, “ammantata di merkelismo”, dice Wieder, e questo naturalmente costituisce un traino culturale rilevante. Quando affronta la questione femminile, Wieder racconta come la cancelliera abbia saputo sfruttare sia le differenze con i suoi compagni di governo per ottenere di volta in volta una riforma in più, sia le competenze degli altri. O delle altre: Ursula von der Leyen più di tutti, perché “lei può dire delle cose e fare certe battaglie che la Merkel approva ma su cui preferisce non esprimersi pubblicamente”. 

  
L’impatto sulla società, sulla vita reale però è un’altra cosa. Se si guarda la differenza di salario tra uomini e donne (l’indicatore principale, al netto delle chiacchiere, delle battaglie e delle recriminazioni), la media europea era nel 2018 di uno scarto del 14,8 per cento. In Germania, secondo Eurostat, le donne guadagnavano il 22,7 per cento in meno rispetto agli uomini e negli ultimi tre anni non c’è stato un significativo miglioramento, anzi con la pandemia molte donne hanno lasciato il lavoro, altro che chiedere un aumento di stipendio. “Il bilancio nel complesso però è positivo – dice Valentino – Grazie anche alla spinta dei socialdemocratici nel governo di coalizione, che la Merkel ha utilizzato come leva nei confronti della Cdu per far approvare delle misure a sostegno della famiglia e delle donne: gli asili nido, l’introduzione del tempo pieno a scuola che fino agli anni Duemila non esisteva in Germania hanno favorito la conciliazione tra lavoro e casa per le donne. Così come c’è stata l’introduzione delle quote di genere prima nei Consigli di sorveglianza e finalmente, quest’anno, grazie alla ministra del Lavoro socialdemocratica Franziska Giffey, nei Consigli di amministrazione”. 

 
A riconferma del fatto che l’immobilismo della Merkel è in realtà mobilissimo.

 
Nel manuale per le ragazze della Merkel c’è un ultimo capitolo che è: la capacità di non offendersi. La cancelliera si è dedicata più al suo “killer instinct” che alla lamentela, “in questo per esempio è molto diversa dalla stessa von der Leyen –  dice Tonia Mastrobuoni – Sono entrambe donne alfa, ma la cancelliera è più risolta, più a suo agio, ha meno da dimostrare. E comunque, non dimentichiamoci che quando Ursula è stata considerata un’insidia per la Merkel, perché stava portando avanti battaglie per la famiglia molto popolari, la cancelliera non ci ha messo un secondo a rimetterla al suo posto, spedendola alla Difesa”. Nei rapporti di potere Merkel è genderblind, maschio o femmina non importa, quel che non funziona o quel che è d’attrito si leva dal processo, e in questo la cancelliera non segue minimamente un movimento di gruppo. “Ha una visione darwiniana della politica – dice Valentino –  Si è visto molto bene con un’altra donna, quella che aveva scelto per la sua successione: Annegret Kramp-Karrenbauer. Quando Merkel si è accorta che alla sua delfina mancava il ‘killer instinct’ che a volte è anche istinto di sopravvivenza, ha capito di non poter più contare su di lei”. Il segreto è anche non offendersi, perché chi si offende non può attaccare: deve stare sulla difensiva. Una volta Vladimir Putin, che pure ha l’aria di essere se non permaloso certo rancoroso, le consigliò di non essere troppo suscettibile alle critiche, perché ne avrebbe ricevute molte. “Se fossi stata suscettibile – rispose la Merkel – non avrei potuto essere cancelliera nemmeno per tre giorni”. 

  
Il tempo ha fatto bene alla Merkel, il potere non l’ha travolta, anzi, mentre tutti gli altri passavano, lei rimaneva come punto di riferimento, attaccata alle leggi della conservazione cui aveva dedicato la sua prima vita: quel che sale poi un giorno scenderà, i successi si compensano con le sconfitte. Anche questa consapevolezza fa parte del manuale per ragazze della Merkel: ci si diverte quando gli altri ti sottovalutano, ma si ha contezza del proprio posto nel mondo. La cancelliera da quattro mandati, la regina dell’Europa, la custode dei valori occidentali, quando nel 2019 le chiesero come avrebbe voluto essere ricordata nei libri per ragazzi, rispose: “Come una che ci ha provato”.
 

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi