Cosa ne sarà della Cdu dopo Merkel

Francesco Corbisiero

Armin Laschet non ha convinto né i tedeschi né i suoi compagni di partito, che adesso pensano a come riorganizzarsi. Un esperto ci spiega perché è tanto complesso raccogliere l'eredità della cancelliera

Se l’esperienza politica di Angela Merkel consigliava di muoversi – con prudenza, ma di continuo – per trovare un equilibrio e mantenerlo, i suoi successori quel consiglio sembrano non seguirlo. Così, mentre si conclude la prima giornata dei negoziati preliminari tra i Grünen di Annalena Baerbock e l’Fdp di Christian Lindner per la formazione di una maggioranza di governo, tra i cristianodemocratici non si può fare altro se non attendere il fallimento dell’accordo tra i due partiti minori e la Spd. Restando fermi e provando, per quanto possibile, a arrivare alla meta – l’approdo al governo all’interno di una coalizione “Giamaica” – più compatti di quanto stiano dimostrando in questi giorni.

L'attendismo di Armin Laschet incontra però i malumori dei suoi colleghi di partito, un ambiente dentro il quale appare sempre più isolato. A dare inizio al tiro al bersaglio contro di lui è stato il leader della Csu bavarese Markus Söder: “Senza dubbio Olaf Scholz ha maggiori possibilità di diventare prossimo cancelliere” ha ammesso durante una conferenza stampa nei giorni scorsi, riservando una stoccata al leader: “D’altra parte, non si può chiedere un mandato a negoziare partendo da un secondo posto”. 

Superato dall’Spd nei suoi tradizionali bacini elettorali, prosciugato dai Verdi soprattutto nei grandi centri urbani, snobbato dai giovani in favore dei liberali e tallonato dall’Afd nel sud est del paese, la tenuta del tandem Cdu-Csu si è verificata solo in Baden-Württenberg e in Baviera, Länder di cui Söder è governatore dal marzo 2018. Tuttavia, non è l'unico ad avanzare critiche per un risultato deludente. In seguito alla disfatta elettorale, i segnali d’insofferenza della classe dirigente locale si sono moltiplicati. Il governatore dello Schleswig-Holstein, Daniel Guenther, ha invitato tutti alla riflessione. “La situazione della Cdu è drammatica e con un risultato inferiore al 25 per cento il partito ha bisogno di serie riforme” ha affermato in un'intervista, escludendo, per il momento, un ricambio ai vertici. Avvicendamento caldeggiato, invece, dalla base elettorale: un sondaggio effettuato da YouGov e diffuso in questi giorni rivela che il 68 per cento degli intervistati sarebbe favorevole a una rinuncia da parte di Laschet a tutti gli incarichi politici e solo il 13 per cento si augura che quest’ipotesi non si verifichi. 

Gli smottamenti in casa Cdu rappresentano gli effetti del dopo Merkel. "In oltre quindici anni di potere, la cancelliera ha giocato un ruolo decisivo" – secondo Ubaldo Villani Lubelli, storico delle istituzioni politiche presso l'università del Salento e autore di diversi saggi sulla politica tedesca – perché “è stata capace di governare sulla base di una piattaforma post-ideologica, ha evitato di alimentare la polarizzazione dentro il dibattito pubblico e ha dialogato sui temi in agenda con segmenti di elettorato tradizionalmente lontani dal suo”. Basti ricordare, la distanza tra i suoi convincimenti personali e l’opinione corrente nel suo partito in merito all’opportunità di dare il via all’accoglienza dei rifugiati durante la crisi migratoria dell’estate 2015 o al grande piano di spesa in risposta agli effetti economici dell’emergenza Covid-19. In entrambi i frangenti, Merkel è riuscita in una complicata opera di persuasione del suo stesso partito, in linea di principio scettico, quando non proprio contrario, alle soluzioni proposte. Gli effetti hanno spostato il baricentro nell'asse politico. 

Difficile replicare una simile leadership o trasmetterla in via ereditaria. Altrettanto, modellarsi un'identità ex novo. “Di fatto, il tentativo di Laschet di smarcarsi dall’eredità della cancelliera per proporre un’alternativa originale si è tradotto, durante la campagna elettorale, in un generico invito alla stabilità”. Il colmo per un partito rimasto al governo per la maggior parte del tempo dalla fondazione della Repubblica federale, in grado di esprimere in passato personalità del calibro di Konrad Adenauer e di realizzare la riunificazione tedesca. Un richiamo soprattutto troppo vago per soddisfare gli elettori, impegnati a cercare una sintesi credibile e solida tra cambiamento e continuità che hanno trovato in altri leader e altre formazioni. Specie perché – continua Villani Lubelli – “sulle epocali trasformazioni socio-economiche in corso in Germania e in Europa il candidato premier della Cdu è rimasto piuttosto sul vago”.

Di più su questi argomenti: